Impiegati di banca imputati di bancarotta fraudolenta

Accusati di un reato sempre più diffuso tra gli imprenditori: bancarotta fraudolenta, per aver distratto denaro dai conti di un’azienda destinata al fallimento. Accusati di un reato che, di questi tempi, fa notizia solo perché loro, a differenza di tutti gli altri, non sono imprenditori, ma funzionari di banca. In particolare un direttore di filiale e un responsabile di zona della Banca di Credito Cooperativo di Pompiano e della Franciacorta.
I due sono accusati di aver trasferito da un conto corrente all’altro, attraverso moduli di bonifico firmati in bianco, fondi che diversamente sarebbero stati destinati al fallimento e alla soddisfazione (parziale) dei creditori di un loro correntista fallito.
Le posizioni di Paolo Schirone e Pietro Gozzini, rispettivamente responsabile della filiale di Rovato e di zona della Bcc di Pompiano e Franciacorta, erano ieri al vaglio del Tribunale, che ha assunto alcune testimonianze e aggiornato il processo al prossimo 11 aprile. I fatti per i quali i due funzionari sono alla sbarra, mentre un terzo è stato prosciolto in udienza preliminare, risalgono agli anni 2007, 2008 e 2009 e riguardano il fallimento della Immobiliare R.B. Srl di Massimo Bono di Rovato. Secondo l’accusa, che si è attivata in seguito all’esposto presentato nel febbraio di tre anni fa dal curatore del fallimento Alberto Facella, i due funzionari operarono sui conti correnti riferibili a Bono in modo da consentire all’istituto di credito di rientrare di prestiti e mutui concessi, senza doversi insinuare in un fallimento alle viste.
L’imprenditore nel 2007 mise in vendita due immobili. In tutto realizzò 850mila euro. Parte fu utilizzata per pagare alcune rate scadute di un mutuo, parte per estinguere parzialmente il mutuo stesso, e parte (379mila euro) finì sul suo conto personale dove confluirono altri 70mila euro da altra azienda di famiglia, la carrozzeria f.lli Bono. I 450mila euro che Massimo Bono si ritrovò sul conto personale, sempre alla Bcc di Pompiano e Franciacorta, furono utilizzati, con due diversi bonifici, per un finanziamento soci della Formulauto Srl, altra azienda di famiglia. In questo modo quest’ultima, secondo la ricostruzione del pm, estinse i debiti nei confronti della Bcc, in barba ai creditori che non poterono chiedere la revoca della vendita dei due immobili, avvenuta due anni prima del fallimento e quindi al riparo dalla legge fallimentare.
Bono ha patteggiato per bancarotta fraudolenta. Ma la vicenda processuale non si è chiusa. Il curatore del fallimento, che con l’avvocato Stefania Amato si è costituito parte civile nel processo, ha sottoposto i suoi dubbi alla Procura. Facella ritiene che i due funzionari della Bcc, pur conoscendo la situazione di decozione delle aziende dei Bono, abbiano manovrato al fine di permettere alla banca di rientrare dai debiti della Immobiliare R.B. e della Formulauto, a scapito di tutti gli altri creditori.
Dalla voce del cassiere della filiale della Bcc, ritenuto dal giudice dell’udienza preliminaremero esecutore materiale di ordini dall’alto e per questo prosciolto dall’accusa, il Tribunale ieri ha raccolto la conferma della presenza della grafia di Pietro Gozzini sui bonifici rilasciati in bianco dall’imprenditore fallito.
In attesa di rassegnare le sue conclusioni in aula, l’avv. Denise Pedrali, difensore di Paolo Schirone e Pietro Gozzini, ritiene che i suoi assistiti non siano responsabili. “Il fatto – dice il legale – non costituisce reato. Schirone e Gozzini non potevano sapere dello stato di decozione dell’azienda di Bono”. Quanto ai bonifici in bianco… “Bono non solo sapeva del trasferimento di denaro dal suo conto a quello della Formulauto, ma lo aveva addirittura chiesto”.
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