Brescianini: «La qualità del vino ora dialoga con il territorio»

Il vino è uno degli elementi che accomunano Bergamo e Brescia. E il Franciacorta è una buona parte del valore della produzione enoica
Un vigneto della Franciacorta - Foto © www.giornaledibrescia.it
Un vigneto della Franciacorta - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bergamasco invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo.

Il vino è uno degli elementi distintivi che accomunano le due province unite dal fiume Oglio, Bergamo e Brescia. E proprio alla sinistra orografica del grande fiume, sulle colline moreniche tra il Sebino e la città, sta il vigneto di Franciacorta che, coi suoi circa 400 milioni di euro di fatturato, è buona parte del valore della produzione enoica bresciana. Una zona che si è votata allo spumante di qualità del metodo classico da una sessantina d’anni, costruendo passo dopo passo un brand riconosciuto che lega indissolubilmente il vino al suo territorio in un solo nome, Franciacorta appunto.

Silvano Brescianini, presidente del Consorzio Franciacorta
Silvano Brescianini, presidente del Consorzio Franciacorta

Ecco perché la chiacchierata con Silvano Brescianini, presidente del Consorzio tutela e vice-presidente esecutivo di Barone Pizzini, comincia proprio dalla stagione d’oro che la Franciacorta vive. «Credo che ormai da qualche anno l’intero territorio franciacortino abbia assunto piena consapevolezza della sinergia decisiva nata attorno al vino e cresciuta investendo sulla bellezza d’ogni angolo di quest’area, valorizzandone appieno tutte le ricchezze naturali e storiche anche attraverso lo sviluppo di un turismo maturo e sostenibile. Lo prova anche il maggiore interesse riscontrato in quest’anno vissuto con Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura che ha avuto ampi riscontri».

E il Franciacorta, invece, come sta?

Sta bene direi. È una realtà da 20 milioni di bottiglie all’anno, che è certo una goccia nel mare del vino, ma ha ormai una sua identità precisa e ben definita, riconosciuta non solo in Italia, ma all’estero anche grazie al successo di tanti eccellenti chef italiani nel mondo.

La quota dell’export non è ormai lontana dal 15% della produzione: con quali obiettivi globali?

Non abbiamo la possibilità di servire il mondo, ché già non riusciamo a soddisfare le richieste attuali. L’ambizione per l’Italia e per l’estero è riuscire a portare le nostre bottiglie nelle carte dei vini dei ristoranti più celebrati di Europa, America e Giappone, posizionandoci così nella fascia d’eccellenza del mercato. Rispondono a questo obiettivo le nostre molte iniziative e, tra l’altro, le collaborazioni con la Michelin per la presentazione della Guida italiana, con la Camera di commercio di Milano, con gli Emmy Awards di gennaio 2024 a Los Angeles, eventi che aiutano a consolidare il nostro posizionamento commerciale.

Il vostro successo si accompagna al buon momento dell’insieme del settore vinicolo bresciano.

Forse mai come oggi il vino bresciano è stato in gran forma, dando risalto alle peculiari espressioni di ogni zona. Le tre aree principali si sono infatti ormai specializzate: la Franciacorta con lo spumante metodo classico, la Lugana con il bianco, la Valtenesi con il rosato; Capriano e Botticino stanno invece puntando opportunamente sul rosso, mentre la Valcamonica, pur se piccola, sta mostrando chicche davvero interessanti.

Per tutti la grande sfida oggi è il biologico, scelta che vi ha visto tra i precursori…

Sì e ne siamo orgogliosi non solo perché la Franciacorta ha in biologico oltre il 60% dei suoi vigneti, ma perché anche chi non è in biologico ha fatto propria una cultura avanzata nella salvaguardia del territorio e nella difesa della biodiversità, ad esempio attraverso la lotta integrata che riduce al minimo la chimica nelle colture. C’è ormai una diffusa, operativa sensibilità che si traduce nell’attenzione mirata al bene per ciò che sta sopra e sotto terra. È un nuovo modo di guardare al proprio lavoro consci del fatto che questo approccio si traduce pure nel miglioramento del vigneto e del vino. È una grande opportunità per provare a lasciare ai nostri figli questo nostro territorio in condizioni anche migliori di come ci è stato dato in eredità. 

Qui il link all'intervista sull'Eco di Bergamo. 

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