Arturo e il mais del passato che lo proietta nel futuro

Impiegato per lavoro, ma agricoltore per passione, ha riscoperto l’antica coltivazione, ora produce biscotti, pane e anche la birra
San Carlo Grani © www.giornaledibrescia.it
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Un mais che arriva dal passato ma che proietta direttamente nel futuro. È quello che Arturo Lazzaroni, di professione impiegato ma agricoltore per passione, ha deciso di coltivare in uno dei sette ettari che la sua famiglia lavora a cereali e altre colture in quel di San Carlo di Rovato (da qui il nome San Carlo Grani).

Una coltivazione non certo facile, dal momento che questo tipo di mais - che era andato perso negli anni - ha tempi di maturazione diversi da quelli in commercio oggi, studiati per essere pronti in poche settimane e rendere il più possibile in termini di quantità a «scapito però della qualità».

Si tratta del mais rostrato rosso, che ha questo nome per la forma e il colore dei chicchi, coperti da una sorta di becco da rapace che li protegge da malattie o da uccelli, e per le striature rossastre. Un granturco ricco di antocianine, molecole del gruppo dei flavonoidi, potenti antiossidanti che proteggono il cuore, come si può leggere sul sito della Fondazione Veronesi. «Questo mais antico è particolarmente delicato e non ha la stessa resa di quelli ibridi ed elaborati nel tempo; a fronte dei 150 quintali a ettaro che si producono con questi il rostrato rosso ne produce trenta. Ma il sapore è tutta un’altra cosa, fa tornare ai gusti di una volta, genuini e sani. E questo mi ripaga di tutta la fatica che comporta il coltivarlo».

Dai trenta quintali che l’ettaro del fondo a Rovato produce si ricavano venti quintali di farina giallo/rossa, utilizzata per fare la polenta (che va cotta rigorosamente per un’ora o più). Ma da qualche tempo Arturo in collaborazione con un fornaio - sempre di Rovato - ha iniziato a produrre biscotti e soprattutto un pane molto ricercato. Lo scorso anno l’impiegato 46enne con la passione per la terra e il mais antico ha avuto un’altra intuizione: far produrre con il suo rostrato una birra ad un birrificio artigianale, sempre della zona per mantenere lo stretto legame con il territorio. E così è nata la «Arturo 3.0», «che ha 6 gradi, non è pastorizzata e non è filtrata e si abbina bene con piatti saporiti. Resto convinto della mia scelta - spiega affiancato dall’amico Mario Nasta che vende in città i suoi prodotti -, nonostante la fatica e l’impegno che servono per produrre questo mais, i capricci del clima e la scarsa resa. Per ora farina, biscotti e birra mi stanno dando grandi soddisfazioni che mi ripagano degli enormi sforzi che affronto ogni giorno».

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