Scuola

Sentenza choc per mille docenti: salta il ruolo, rischio licenziamento

Avevano partecipato al concorso 5 anni fa dopo il ricorso: ora il Consiglio di Stato li ha «esclusi»
A rischio anche la continuità per gli studenti, che potrebbero trovarsi docenti nuovi nel mezzo dell’anno scolastico - © www.giornaledibrescia.it
A rischio anche la continuità per gli studenti, che potrebbero trovarsi docenti nuovi nel mezzo dell’anno scolastico - © www.giornaledibrescia.it
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La storia è questa: immaginate di avere una laurea e di avere l’obiettivo e il sogno dell’insegnamento. Immaginate anche di aspettare per anni il concorso per riuscire ad archiviare il precariato dopo una miriade di supplenze a chiamata. Del resto, ogni settembre che si rispetti, ogni plesso è alle prese con lo stesso mosaico a incastro: i docenti mancano. Il concorso arriva. Ma nemmeno il tempo di pensare «ci siamo, finalmente» che subito s’infila un problema mica da poco: nella matrioska di leggi che cambiano al ritmo delle mode stagionali, per partecipare al concorso-miraggio la laurea non basta più. No: serve un’ulteriore abilitazione. Coraggio a due mani, confronto sindacale e si condivide che «no, non è davvero corretto tutto questo». Quindi si prende in mano la situazione e si deposita un ricorso collettivo, che «si sa, l’unione fa la forza e qualcuno dovrà pure ascoltarci».

Così, infatti, avviene: quasi non ci si crede, ma stavolta è vero, al concorso si può accedere. Certo, non è ancora finita: i test bisogna superarli, ovviamente. Immaginate di averli anche superati tutti. Di più: di avere superato l’anno di prova a scuola. Adesso avete raggiunto la meta da festeggiare: siete di ruolo, avete le vostre classi, tirate l’agognato sospiro di sollievo, affrontate l’esperimento della Dad durante i mesi bui della pandemia. Passano cinque anni. E all’improvviso arriva una lettera che vi catapulta di nuovo a quel 2017: c’è scritto che no, il giudice ha deciso che quel famoso ricorso lo avete perso. Che nell’arco di 120 giorni la sentenza dev’essere eseguita. Che, in sostanza, nell’arco di quattro mesi potreste perdere tutto ed essere licenziati. Immaginate l’incubo, la mortificazione, la paura di essere tornati di colpo nel limbo, di dovervi rivedere precari come se i vostri ultimi anni professionali fossero stati semplicemente cancellati. Ecco: è esattamente così che si sentono gli oltre mille docenti di ruolo che entro Natale rischiano di non poter più salire in cattedra da titolari.

La testimonianza

Quando lo racconta, Ilaria - che pensava di tornare serenamente nella sua classe delle medie - è talmente sconsolata che sta valutando di rinunciare a insegnare, di metterci una pietra sopra e via: «Le scuole non sanno nulla, gli uffici scolastici regionali devono a questo punto eseguire la sentenza e mi ritroverò ad essere licenziata nel bel mezzo dell’anno scolastico». Per quel ricorso, lei come tutti gli altri, ha già speso più di mille euro.

Per questo l’idea suggerita dallo Snals (che sta per Sindacato nazionale autonomo lavoratori scuola) di impugnare nuovamente l’atto la lascia perplessa: «Significherebbe sborsare altri 2mila euro e con la prospettiva di tornare precaria, onestamente, non so se me la sento - confessa -. Noi abbiamo superato il concorso a tutti gli effetti, siamo di ruolo: non ci si pone neppure il tema della continuità scolastica per gli alunni».

Burocrazia

Eppure una via d’uscita, senza ulteriori ricorsi, ci sarebbe. A fornirla è la sentenza stessa, pubblicata dalla Sesta sezione del Consiglio di Stato il 22 giugno, nella quale il presidente Giancarlo Montedoro scrive: «Si invoca l’applicazione del regime derogatorio». In buona sostanza, per sanare questa contesa basterebbe una deroga da parte del Ministero dell’Istruzione. Specie perché al paradosso iniziale se ne aggiungono almeno altri due. Il primo: chi volesse ritentare daccapo il prossimo concorso non si vedrebbe riconoscere questi cinque anni di docenza effettiva, perché verrebbero invalidati sulla scia della sentenza. Il secondo: per i nuovi concorsi, l’abilitazione non serve più, basta la laurea. No, non è uno scherzo. È la burocrazia «made in Italy».

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