Alla Scuola Bottega il disagio giovanile si affronta col volontariato

Quasi mille ragazzi provenienti da trenta Paesi diversi, alcuni dei quali in conflitto fra loro per politica o per cultura. Potenzialmente una situazione esplosiva, con l’adolescenza ad aggiungere miscela infiammabile agli screzi e ai battibecchi quotidiani, monitorati perché non degenerino in rappresaglie o risse. «Ma non possiamo e non dobbiamo limitarci a demonizzare la diversità – ammonisce Anna Maria Gandolfi, direttrice della Scuola Bottega Artigiani di Brescia –. È vero: nelle nostre classi ci sono ragazzi difficili e situazioni a rischio, oltre al fattore nazionalità che ha la sua parte nel complicare le cose. Ma noi adulti abbiamo il dovere di leggere il disagio di questi giovani: dobbiamo capire le loro fragilità e accompagnarli, aiutandoli a crescere. Anche perché i nostri studenti rappresentano anche una grande ricchezza: molti di loro conoscono dalle due alle quattro lingue, compresi i loro dialetti, e hanno una grande voglia di riscatto. Sono convinta che abbiano davvero un grande potenziale che sta a noi sviluppare».
Scuola di frontiera
È così che nelle cinque sedi – tre in città e due nella Bassa – di quella che viene spesso definita, con ammirazione, una scuola di frontiera non si pensa solo a formare i ragazzi alla professione. Il lato umano è preponderante e ciò si traduce in una serie di progetti messi in campo in questi anni, sotto l’egida della direttrice Gandolfi, per formare i ragazzi in primis come esseri umani e cittadini. E poi come artigiani qualificati.

La sospensione alternativa
Fra questi un riscontro più che positivo l’ha ottenuto la sospensione alternativa, una misura che, dal suo esordio nel 2023, ha rappresentato una sorta di rivoluzione. Questa iniziativa, portata avanti in collaborazione col Centro Servizi Volontariato, prevede di sostituire la punizione disciplinare con un percorso che ha l’obiettivo di educare al rispetto e alla responsabilità. «In pratica – spiega Gandolfi – proponiamo ai ragazzi che vengono sospesi dalle lezioni, in seguito ad una nota disciplinare, di partecipare ad un progetto di volontariato, mettendosi al servizio di una realtà individuata da noi, col supporto del Csv, o segnalata direttamente da loro».
Gli esempi

È così che uno studente, responsabile di una violazione ritenuta particolarmente grave, per un mese si è ritrovato a recapitare ogni mattina alle 6 la colazione ai senzatetto che trovano ricovero in stazione. Un altro ragazzo si è invece preso cura della spesa di persone anziane. «Ognuno di loro – racconta la direttrice – è stato in qualche modo cambiato da questa esperienza. I ragazzi si sono trovati per la prima volta ad affrontare situazioni di disagio e povertà di cui ignoravano l’esistenza. E a questo proposito devo ringraziare tutte le realtà che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere gli studenti. Quest’anno, su circa 950 ragazzi afferenti a tutte le sedi, sono state solo 47 le sospensioni alternative che sono state applicate: per me si tratta di un dato confortante».
Prima del conflitto
Un risultato raggiunto anche grazie all’introduzione, qualche mese fa, del «Metodo Rondine», un’offerta formativa sperimentale che alla didattica tradizionale affianca una metodologia di prevenzione dei conflitti, per evitare che degenerino in odio e violenza. Mutuato da un percorso nato 25 anni fa nel borgo medioevale di Rondine, da un’idea di Franco Vaccari, il progetto è stato innestato nella Scuola Bottega grazie al sostengo del Rotary Club Sud-Ovest Maclodio, che ha sostenuto economicamente la formazione degli insegnanti. «In questo modo contribuiamo a dare ai ragazzi gli strumenti per integrarsi e diventare cittadini a tutto tondo. Ciò non significa però prescindere dalle regole, che nella nostra scuola ci sono e sono molto chiare» aggiunge Gandolfi. Fra queste l’obbligo della consegna dei telefonini durante l’orario scolastico, dalle 8 alle 14. Un provvedimento di cui la Scuola Bottega è stata pioniera nel Bresciano ormai quattro anni fa.
Le difficoltà
Resta il fatto che le difficoltà oggettive esistono: c’è la questione della lingua, dovuta anche all’alta presenza di studenti Nai (neo arrivati in Italia), che viene affrontata attraverso numerosi corsi di alfabetizzazione; e c’è il progetto ponte per il recupero di studenti pluribocciati delle scuole medie. «Abbiamo casi difficili – conferma la direttrice –, ma statisticamente le difficoltà si riscontrano soprattutto nel primo anno. A partire da quello successivo i ragazzi già maturano molto. Bisogna avere pazienza e farli sentire protagonisti». Così una scuola di frontiera supera i confini del pregiudizio per avventurarsi nel territorio della vera integrazione.
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