Scompenso cardiaco acuto: speranze terapeutiche

Improvvisa sensazione di soffocamento, rapido aumento di peso dovuto all’accumulo di liquidi nel corpo, grave affaticamento con impossibilità a svolgere le attività necessarie nella vita quotidiana: sono questi i sintomi più frequenti dello scompenso cardiaco acuto. Sindrome invalidante, per la quale il cuore perde progressivamente la capacità di pompare in modo adeguato il sangue nell’organismo e che può incidere pesantemente sulla qualità e la durata della vita. Il trattamento della forma cronica, ambulatoriale, dello scompenso cardiaco è notevolmente migliorato negli ultimi decenni. Quello che rimane preoccupante è il destino dei pazienti che non restano in condizioni stabili e necessitano di ricovero ospedaliero.
Lo scompenso è un fenomeno in crescita - si tratta della più importante causa di ospedalizzazione per i pazienti con più di 65 anni - che in Italia registra quasi 200 mila casi ogni anno, di cui 20 mila solo in Lombardia. Oggi, finalmente, dalla ricerca arrivano nuove speranze di cura.
«Nel nostro ospedale abbiamo almeno un ricovero al giorno per scompenso cardiaco - commenta Marco Metra, direttore della Cardiologia dell’Ospedale Civile e dell’Università di Brescia -. La prevalenza attuale di questa patologia è del 2% della popolazione generale, ma è purtroppo destinata ad aumentare con il progressivo invecchiamento della popolazione: si stima infatti che nell’arco dei prossimi vent’anni ci sarà un aumento del 25% del numero di pazienti affetti da scompenso cardiaco proprio a causa dell’incremento del numero di persone oltre i 65 anni».
Oltre all’infarto, le più comuni cause che possono condurre a un episodio di scompenso acuto sono l’ipertensione arteriosa, le malattie valvolari, le malattie specifiche del muscolo cardiaco (cardiomiopatie) e, in generale, tutte le malattie cardiovascolari. I numeri confermano che si tratta di una patologia che non va sottovalutata. Oltre a un forte impatto sulla qualità di vita del paziente, anche gli sforzi economici a carico della famiglia e del Servizio sanitario nazionale non sono affatto indifferenti, se si considera che lo scompenso cardiaco è causa, di per sé, del 2-3% delle spese totali del servizio sanitario nazionale.
«Causa principale dei costi e della cattiva qualità di vita di molti pazienti è la necessità di frequenti ricoveri ospedalieri causati dal peggioramento dei sintomi e dalla necessità di terapia endovenosa - prosegue Metra -. Il 30-40% dei pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco è costretto a ritornare in ospedale a un anno dal primo ricovero. Inoltre, non bisogna sottovalutare che nel 10-20% dei casi la degenza è particolarmente prolungata con necessità di intensificare la terapia per ulteriore peggioramento dei sintomi».
Nonostante la crescente incidenza degli ultimi anni dello scompenso cardiaco acuto, le modalità di trattamento sono rimaste invariate. «Quando il paziente arriva al pronto soccorso in preda a un attacco - spiega Metra - la terapia consiste nel ridurre la difficoltà a respirare e il sovraccarico di liquidi, mediante la somministrazione di diuretici e, spesso, di ossigeno e vasodilatatori. Questa terapia è generalemente efficace nel migliorare i sintomi ma, come detto prima, non migliora il decorso successivo che resta caratterizzato da frequenti riospedalizzazioni ed elevata mortalità. La ricerca non è ancora riuscita ad ottenere risultati consistenti per migliorare la prognosi di questi pazienti. Tuttavia, la tenacia che abbiamo avuto ci sta premiando. La nostra struttura ora è coinvolta e coordina a livello mondiale studi su una nuova molecola, serelaxina, che non solo ha dato risultati interessanti nella riduzione della dispnea, ma si è anche dimostrata capace di ridurre la durata del ricovero di circa un giorno e, soprattutto, di migliorare la prognosi dei pazienti. Si è infatti osservata nei pazienti trattati con questa molecola una riduzione della mortalità del 37% a sei mesi dal ricovero. A questo primo studio, che ha coinvolto più di 1100 pazienti, fa ora seguito un altro studio ancora più ampio (più di 6.300 pazienti reclutati in 30 nazioni) avente lo scopo di confermare i dati sulla mortalità - conclude Metra -: la nostra struttura ha l’onore partecipare questo studio, di averlo progettato e di coordinarlo per tutto il mondo insieme all’università di San Francisco».
Accanto alle terapie farmacologiche, per fermare la crescente incidenza dello scompenso cardiaco acuto, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, è importante il ruolo della prevenzione.
«Si può e si deve intervenire precocemente - conclude Metra -. È importante cercare di prevenire le patologie che sottendono lo scompenso cardiaco. In questo senso, un corretto stile di vita con il mantenimento di livelli bassi di glicemia e di colesterolo, il controllo della pressione arteriosa, l’esercizio fisico regolare e una dieta adeguata sono tutte indicazioni importanti da seguire per la prevenzione dello scompenso cardiaco che devono accompagnare ciascuno di noi dalla giovinezza fino all’età avanzata».
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