È «allarme rosso» per le vaccinazioni pediatriche

Insieme alle migliaia e migliaia di prestazioni sanitarie andate perse durante la pandemia, ad iniziare dalla primavera 2020, ci sono le vaccinazioni pediatriche. «Si calcola che mediamente ci sia un ritardo di 7-8 mesi sul calendario vaccinale dei bambini. Ora lo stiamo recuperando, ma con fatica» afferma una pediatra bresciana che preferisce rimanere anonima.
Mai così in 30 anni
È ufficiale, questo sì, che nel 2020, per i bambini nati nel 2018, la copertura vaccinale a 24 mesi per la poliomielite, il morbillo e la rosolia raggiunge rispettivamente il 94%, il 92,7% e il 92,2% (-1, -1,8 e -2 punti percentuali sul 2019), dunque sotto l’obiettivo del 95% raccomandato dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Diminuzione continuata nel 2021, anno in cui si è registrato il più grande calo mai visto negli ultimi trent’anni, tale da essere definito «allarme rosso» dalla stessa Organizzazione mondiale insieme a Unicef e Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, che sottolineano come la pandemia di Covid-19 abbia alimentato il più grande arretramento delle vaccinazioni pediatriche degli ultimi tre decenni. Le vaccinazioni possono, certo, avere un semplice effetto protettivo individuale (ad es. l’antitetanica).
Per la maggior parte dei vaccini, anche di contrasto alla diffusione delle malattie infettive all’interno di tutta la popolazione, proteggendo anche chi non è direttamente vaccinato. Se molte persone in un gruppo sono vaccinate contro una determinata malattia infettiva, si riduce il numero di coloro che possono ammalarsi e con il tempo la malattia cessa di manifestarsi in quel gruppo.
Tre obiettivi
Obiettivi di una strategia vaccinale sono tre. Uno: controllo di una malattia con riduzione del numero di casi e complicanze (ad es. vaccinazione antinfluenzale). Due: eliminazione di una malattia che scompare in una determinata area geografica perché si interrompe la circolazione dell’agente che la causa, che però non scompare. Infine, eradicazione con l’eliminazione permanente sia della malattia sia del suo agente patogeno (come è accaduto per la poliomielite).
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