Come funzionano le cure palliative a Brescia

In Italia c’è una legge all’avanguardia, Brescia ha precorso i tempi con la Domus Salutis e continua a lavorare anche sull'assistenza domiciliare
Le cure palliative fanno riferimento all'Asst Spedali Civili
Le cure palliative fanno riferimento all'Asst Spedali Civili
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Nell’aria l’eco del successo dei «Dialoghi sull’eternità», i confronti tra filosofia, religione e scienza per riflettere sull’utilità di parlare dei sentimenti causati dalla perdita che si sono da poco conclusi in città, invita ad ampliare ulteriormente lo sguardo per capire a che punto siamo nella lotta al dolore inutile. Quello che affligge un numero sempre più significativo di persone che ha diritto ad essere curato anche se l’obiettivo della cura non è la guarigione.

Il nostro Paese - come spesso accade - ha una legge all’avanguardia, approvata nel 2010, che espressamente dichiara che le cure palliative sono un diritto del malato. Diritto, dunque, a quell’insieme di cure, non solo farmacologiche, volte a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato sia della sua famiglia. Lo scopo non è quello di accelerare né di ritardare la morte, ma di preservare la migliore qualità di vita possibile.

Brescia all'avanguardia

Quanto è garantito questo diritto? Intanto, non dimentichiamo che Brescia è una città all’avanguardia che, nel 1987, ha avviato l’esperienza nazionale degli Hospice aprendo quello della Domus Salutis su iniziativa delle Ancelle della Carità, «tappa fondamentale per l’integrazione tra cure palliative domiciliari e reparti di degenza dedicati all’assistenza dei malati cronici in fase avanzata».

Dunque, un territorio già fertile, che negli anni si è ulteriormente organizzato fino all’istituzione di un Dipartimento interaziendale di Cure palliative, con capofila l’Asst Spedali Civili, a coordinare i servizi erogati nel territorio dell’Agenzia della salute di Brescia da enti pubblici e privati accreditati. L’obiettivo, in questo caso una sottolineatura quasi superflua, è riuscire ad integrare i servizi erogati in ospedale e sul territorio. «Per i pazienti che seguiamo in ospedale, una trentina per volta solo al Civile, non ci sono liste d’attesa» spiega Cosimo Chelazzi, responsabile Cure palliative e Assistenza domiciliare integrata del Civile, nonché professore associato di Anestesia e Cure palliative dell’Università degli Studi di Brescia.

Le cure domiciliari

La situazione cambia per le persone di cui si occupa l’Unità di Cure palliative domiciliari, ma anche per quelle che richiedono un ricovero negli Hospice. Un migliaio l’anno quelle a cui viene garantita un’assistenza con più figure professionali di riferimento. Il dato ufficiale dice che solo un paziente su quattro, tra tutti i candidabili alla palliazione, arriva negli Hospice. Sono in gran parte adulti e anziani, ma non mancano i bambini. «Dallo scorso aprile ci occupiamo anche della parte pediatrica, seguendo bambini con malattie gravemente invalidanti, non solo oncologiche - afferma Chelazzi -: la struttura si era prefissa di prendersi cura di una sessantina di minori l’anno, anche da fuori Brescia. Di fatto, sono già una trentina in soli due mesi».

Tra i punti fermi nella costruzione della rete locale di cure palliative, ce n’è uno che sta molto a cuore al professor Chelazzi: «Da quando il paziente viene visto dal medico palliativista, ci siamo dati 72 ore di tempo per organizzare l’assistenza, tenendo conto di una serie di esigenze organizzative legate anche al luogo di residenza del malato. Sia chiaro, però, che le cure palliative domiciliari non sono la delocalizzazione dell’ospedale per acuti a casa».

L’evoluzione delle cure palliative negli anni ha spostato gli obiettivi: se, un tempo, erano destinate solo a pazienti oncologici, ora non è più così. Anche se il rapporto è ancora troppo sbilanciato: 80 oncologici e 20 altri pazienti con malattie croniche inguaribili. Si tende ad un sessanta e quaranta.

Un servizio integrato

«Non è più pensabile aspettare la fine del trattamento oncologico per iniziare le cure palliative. In realtà, poi, anche nella popolazione non oncologica ci sono situazioni complesse, basti pensare alle cronicità d’organi quali gli scompensi, che richiedono servizi sanitari e assistenziali integrati tra loro - continua Chelazzi -. Il bisogno potenziale sta aumentando e, parallelamente, richiede anche il superamento di un’idea di palliazione legata solo al fine vita.

Ci sono persone che vivono più a lungo con disabilità e che richiedono risposte che diano sollievo ma che devono essere concordate con il malato e con la famiglia. Più professionisti che si facciano carico della sofferenza fisica (dispnea, nausea e vomito), di quella psicologica (ansia, disperazione e senso di abbandono), psicosociale e spirituale perché a volte è difficile trovare un significato da dare a quello che si sta vivendo. Infine, non da ultimo, esiste anche una sofferenza finanziaria che non viene alleviata nemmeno dal sapere che le cure palliative sono gratuite.

La somma di queste sofferenze è un dolore totale del quale quello fisico è solo una parte, a volte nemmeno la prevalente. Ebbene, quando prendiamo in carico una persona dobbiamo valutare tutti questi aspetti, sapendo che i rimedi che mettiamo in atto sono modulabili e le soluzioni possono cambiare. A prevalere è la decisione del malato, che decide se rimanere a casa oppure no». 

 

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