Biologici e biosimilari: differenza non solo di prezzo

Corrado Blandizzi ordinario al Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa ci delinea le differenze
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Corrado Blandizzi è ordinario al Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli Studi di Pisa, e con lui affrontiamo il tema delle cure biologiche e biosimilari.

Sulla base delle attuali norme sui biosimilari, emanate a livello europeo e nazionale, che cosa è un farmaco biosimilare e quali sono le implicazioni nella gestione clinica del paziente?

Nell’emanare le linee guida che normano lo sviluppo dei farmaci biosimilari, l’Autorità regolatoria europea ha necessariamente dovuto fare riferimento al concetto di biosimilarità, poiché i farmaci biosimilari, come del resto tutti i farmaci ottenuti con tecnologie di «ingegneria genetica», sono molecole complesse di natura proteica che si possono produrre solo per mezzo di processi di sintesi biologica.

Tali processi sono svolti da cellule viventi, che vengono manipolate geneticamente per fare in modo che esse producano la proteina-farmaco di interesse. Il problema è che, mentre i processi di chimica industriale possono produrre molecole sempre identiche, i processi di sintesi biologica delle cellule sono inevitabilmente soggetti a fattori di variabilità che possono determinare la biosintesi di molecole proteiche simili ma, di fatto, non identiche. In altri termini, se due sistemi cellulari diversi vengono manipolati geneticamente in modo da produrre la stessa proteina-farmaco, a causa delle differenze biologiche che caratterizzano i due sistemi cellulari è molto difficile e di fatto impossibile, che essi producano molecole identiche. In teoria, a livello clinico, due molecole simili, ma non identiche, della stessa proteina-farmaco potrebbero indurre effetti diversi sia in termini di efficacia sia di sicurezza.

È per questa ragione che l’Ema impone ai produttori di farmaci biosimilari un processo di sviluppo altamente controllato e verificato, a più livelli, e li obbliga a dimostrare che il farmaco biosimilare, anche se non identico al biofarmaco originatore, non si discosta da questo in maniera rilevante dal punto di vista delle proprietà farmacologiche, dell'efficacia e della sicurezza.

Uno dei punti di maggiore dibattito è rappresentato dalla possibilità, in base al regolamento Ema, di «trasferire» al biosimilare, attraverso l’esercizio di comparabilità, le indicazioni terapeutiche approvate per il farmaco originatore (la cosiddetta estrapolazione). Da un punto di vista farmacologico quali potrebbero essere le implicazioni?

L’Ema impone che il farmaco biosimilare e il biofarmaco originatore di riferimento siano posti a confronto per mezzo di almeno uno studio clinico, che deve dimostrare che i due medicinali si equivalgono sia per la loro capacità di curare una determinata malattia sia per il loro rischio di provocare effetti indesiderati (equivalenza terapeutica). Tale studio deve essere svolto su pazienti affetti da una patologia per la quale il biofarmaco originatore ha ottenuto in precedenza l’indicazione (ovvero è stato approvato sulla base dei risultati di studi clinici specifici). Se lo studio dimostra l’equivalenza terapeutica, il farmaco biosimilare potrà essere autorizzato e impiegato nei pazienti per la stessa indicazione del biofarmaco originatore.

Tuttavia, se il biofarmaco originatore è stato approvato per più di una indicazione terapeutica (per ciascuna delle quali è stato necessario dimostrare la sua efficacia per mezzo di studi clinici su pazienti), l’Ema può decidere di autorizzare l’uso del farmaco biosimilare anche per la cura di quelle malattie per le quali non è stato eseguito uno studio clinico di confronto diretto con il biofarmaco originatore. Questa procedura, denominata «estrapolazione» delle indicazioni terapeutiche, si basa sul presupposto che i risultati, acquisiti nel processo di confronto tra biosimilare e biofarmaco originatore (esercizio di comparabilità), consentano di predire che il farmaco biosimilare agirà con lo stesso meccanismo di azione e con la stessa efficacia del biofarmaco originatore in tutte le malattie per le quali l’originatore era stato in precedenza autorizzato.

Dal punto di vista farmacologico, la procedura di estrapolazione pone due problemi principali: il meccanismo di azione che giustifica l’efficacia terapeutica nelle diverse malattie potrebbe non essere identico, ovvero, in alcune patologie all'efficacia potrebbero contribuire meccanismi aggiuntivi, secondari rispetto al meccanismo principale; pazienti affetti da patologie diverse potrebbero avere una diversa propensione a sviluppare effetti indesiderati, per esempio, una diversa capacità di sviluppare risposte immunitarie nei confronti del farmaco.

In teoria, il verificarsi di queste circostanze potrebbe comportare profili di efficacia e sicurezza diversi rispetto a quelli attesi nei pazienti con patologie per le quali il farmaco biosimilare è stato autorizzato tramite estrapolazione dell'indicazione. Questa procedura è oggetto di accesi dibattiti e dà adito ad incertezze che possono giustificare perché, per lo stesso farmaco biosimilare, alcune indicazioni estrapolate siano state autorizzate dall’Ema, ma non siano state invece approvate da autorità regolatorie extra-europee.

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