Ora per insegnare servono 60 crediti ma accessibili già prima della laurea
Un neolaureato 24enne di oggi ha già vissuto, anche senza saperlo, cinque «rivoluzioni» italiane del sistema di accesso all’insegnamento. Adesso quella pubblicata sulla Gazzetta ufficiale è presentata da più parti come la riforma definitiva, anche se molti esperti auspicano che, dopo l’ennesimo mutamento del canale d’accesso, ci si preoccupi del fiume-scuola arginando ben altre criticità.
Cambiano dunque i requisiti per insegnare alle medie e alle superiori: serviranno la laurea e 60 crediti Cfu o Cfa specifici (che costerebbero al candidato, stando alle stime, circa 2.500 euro), la metà dei quali fruibili online. Il Dpcm è stato pubblicato il 25 settembre. L’obiettivo è partire a gennaio in Università ed enti Afam con corsi aperti sia a coloro che hanno una laurea magistrale sia ai laureandi. Ed è questo uno dei punti salienti: potendo maturare il percorso mentre si studia, si dovrebbero accorciare i tempi. Un terzo dei crediti – 20 su 60 – arriva via tirocinio: 12 ore in presenza per ogni Cfu. Alla fine bisognerà passare una prova scritta, come analisi critica di episodi del tirocinio, e una lezione simulata.
Gli atenei devono candidarsi entro oggi, 10 novembre. Entro il 20 di questo stesso mese il ministero valuterà i requisiti e dopo Natale l’Agenzia di valutazione Anvur accrediterà i Centri multidisciplinari: un ateneo o un consorzio.
Una lunga storia
La mossa è in ballo già dal periodo del governo Draghi ed è legata a quella parte del Pnrr che guarda all’istruzione. «Se ce lo spettavamo? È un quarto di secolo che aspettiamo e che ci lavoriamo!» evidenzia il dirigente dell'Ufficio scolastico territoriale Giuseppe Bonelli. È la quinta riforma, ricorda, dopo quella delle scuole di specializzazione (Ssis), del tirocinio formativo attivo (Tfa), della formazione iniziale per tirocinio (Fit) e in ultimo dei 24 crediti (Cfu) - strada, quest’ultima seguita da 810 aspiranti docenti solo all’Università degli studi di Brescia. «Prima le possibilità erano a valle della laurea: siamo tra i Paesi in cui si arriva più tardi all’abilitazione, circa sette anni da quando lo studente finisce le superiori. Ora potrà iniziare l’iter mentre studia».
Come mai l’attesa della riforma si è prolungata e adesso la percezione è quella di una corsa contro il tempo delle istituzioni accademiche? «La Commissione Europea ha espresso dei rilievi sulle prime due formulazioni, perché dal ’99 a oggi per le secondarie abbiamo cambiato quattro volte e non si trovava la quadra: finalmente c’è il via libera». Il dirigente valuta positivamente il mix di 50% di presenza e 50% di apprendimento a distanza. «Il vulnus fu inferto quando nel 2003-2004 le università telematiche acquisirono pari rango rispetto alle tradizionali: registrammo uno scadimento della qualità, non perché valessero di meno ma perché una competenza pedagogica acquisita a distanza e senza tirocinio è un’altra cosa».
Il problema-macigno delle classi di concorso è uno degli scogli. «Non è detto che chi studia fisica, informatica o economia voglia insegnare. Si rischia di istituire un corso senza iscritti. La soluzione sono le scuole inter-ateneo regionali». Seconda criticità: la possibilità di essere assunti. «Quanti studenti ci saranno fra dieci anni con il calo demografico? La riforma non risponde direttamente».
Riassumendo, chi oggi andrà a concorso potrà farlo con i 24 Cfu vecchio ordinamento ottenuti entro il 31 ottobre 2022, nella fase transitoria dovrà ottenerne altri 36 per arrivare a 60, poi tutti passeranno al nuovo sistema (da laureandi servono 180 crediti già conseguiti). Nel frattempo il concorso Pnrr per i primi 30mila precari è imminente: dai nuovi è atteso nel 2024. Coinvolte 70mila persone.
@Buongiorno Brescia
La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
