Covid e interferone: tra le 10 scoperte top c'è quella bresciana

Una scoperta internazionale che coinvolge anche i ricercatori dell'Università degli Studi di Brescia e della ASST Spedali Civili
Una delle immagini allegate allo studio - Foto © www.giornaledibrescia.it
Una delle immagini allegate allo studio - Foto © www.giornaledibrescia.it
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La carenza dell'interferone di tipo 1 nei pazienti con una forma grave di Covid-19 è fra le 10 scoperte scientifiche più rilevanti del 2020 secondo Nature. Una scoperta internazionale che coinvolge anche i ricercatori dell'Università degli Studi di Brescia e della ASST Spedali Civili oltre ad altri centri italiani di ricerca di Monza, Pavia e Milano in collaborazione con l'NIH di Bethesda, Washington e la Rockefeller University di New York.

Si tratta di due lavori pubblicati su Science - «Inborn errors of type I IFN immunity in patients with life-threatening COVID-19»; «Autoantibodies against type I IFNs in patients with life-threatening COVID-19», - secondo i quali a spiegare il 15% delle forme gravi di Covid-19 sono sia cause immunologiche sia genetiche: infatti, più del 10% dei pazienti con forme molto gravi di Covid-19 ha risposte immunitarie anomale, con produzione di autoanticorpi in grado di neutralizzare l'effetto antivirale degli interferoni di tipo I, mentre il 3,5% dei pazienti presenta mutazioni specifiche che impediscono la produzione di interferoni di tipo I o la risposta cellulare a tali molecole. 

«Lo studio, svolto grazie alla fondamentale collaborazione con Helen Su e Luigi D. Notarangelo, già Professore Ordinario di Pediatria presso la Università di Brescia e attualmente Direttore del Laboratorio di Microbiologia ed Immunologia Clinica dell'NIH, spiega perché, a parità di condizioni, la malattia da Covid-19 evolva in una forma grave solo in alcuni soggetti aprendo la strada a nuove possibilità terapeutiche», spiega Francesco Castelli, che con Eugenia Quiros Roldan (Cattedra di Malattie Infettive) ed Francesco Scolari (Cattedra di Nefrologia) ha coordinato il contributo dell'Università degli Studi di Brescia alla ricerca.

«La ricerca è stata possibile grazie al coinvolgimento di alcune Unità Operative dell'ASST Spedali Civili di Brescia - spiega Camillo Rossi, Direttore Sanitario della ASST Spedali Civili di Brescia - che hanno contribuito allo studio non solo curando i pazienti e fornendo cruciali informazioni cliniche, ma anche selezionando e inviando prezioso materiale biologico ai colleghi di oltreoceano». 

Nei due articoli di Scienze sono citati tra gli autori, oltre a Rossi, Luisa Imberti e i suoi collaboratori del Laboratorio CREA, Alessandra Sottini e Simone Paghera, e tra «Covid Clinicians» Alessandra Tucci dell'Ematologia, Gabriele Tomasoni della 1° Rianimazione e Ruggero Capra, del Centro Sclerosi Multipla.

 

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