Ossessione selfie, un disagio simile a anoressia e bulimia

Lo spiega Giovanni Stanghellini del Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio dell'Università di Chieti
«Videor ergo sum», esisto in quanto vengo osservato da qualcuno
«Videor ergo sum», esisto in quanto vengo osservato da qualcuno
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Ne scattiamo almeno 93 milioni al giorno, oltre mille al secondo, una vera e propria ossessione e dipendenza per alcuni, i selfie sono il sintomo di un grave disagio diffuso, che porta a riconoscere noi stessi solo attraverso lo sguardo altrui.

Si tratta di una nuova modalità di fare esperienza del proprio corpo, non dissimile dal disagio nascosto dietro anoressia e bulimia. Lo spiega all'Ansa Giovanni Stanghellini del Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio dell'Università di Chieti e autore del libro «Selfie - Sentirsi nello sguardo dell'altro» (Feltrinelli). «Videor ergo sum», esisto in quanto vengo osservato da qualcuno, è questo il nuovo io all'epoca dei selfie - spiega Stanghellini. «Il sé, insomma, prende corpò solo attraverso lo sguardo dell'altro, solo perché qualcuno guarda il mio selfie».

Il problema, continua l'esperto, è tanto più acuito dal fatto che «lo smartphone, che consente un numero illimitato di selfie in ogni istante della vita, non è un semplice dispositivo tecnologico estrinseco rispetto al corpo di una persona, come poteva essere una macchina fotografica - rileva l'esperto; è una vera e propria protesi integrata nei nostri corpi, ormai così indispensabile che per molti di noi è difficile immaginare la propria esistenza in assenza di essa».

 

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