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InnexHub, un lungo cammino inizia con 3 passi

Parla il presidente Baronchelli: «Capire dove siamo, dire alle aziende dove sono e poi formare»
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All’inizio di tutto c’è sempre un passo. Se devi partire, parti da qui: dal primo passo. Poi i cammini, le rotte, i percorsi saranno più o meno agevoli. Ma partire si deve. I giochi di parole e le metafore si sprecano quando si tratta di viaggiare. Vale comunque sempre quanto ammoniva Seneca: «Non c’è mai vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare».

Appunto, dove andare e da dove partire? Con Angelo Baronchelli si parte (oplà) da qui. Baronchelli è vicepresidente di Aib e nei mesi scorsi è diventato presidente di InnexHub, ovvero il digital innovation hub della Lombardia Orientale (Brescia-Cremona-Mantova). In aggiunta, ma la cosa viene evidentemente prima, è lui che guida il gruppo AB di Orzinuovi. In realtà qui la cosa è un po’ più complicata. Che si debba uscire dal porto è fuor di dubbio, ma che la rotta sia chiara non è detto. Anzi. L’unica certezza è che si deve cambiare, il resto è da vedere.

Una chiacchiera abbastanza informale con Angelo Baronchelli al ristorante allestito all’interno della Bie di Montichiari, le scorse settimane.

Baronchelli, non è facile spiegare il concetto...
«Capisco, ma è così. Quando parliamo di 4.0 si sa che c’è un percorso che si deve imboccare. L’obiettivo non è sempre chiaro. C’è un percorso e delle tappe. Dove si arriverà lo si vedrà. E capisco bene che non è facile abituarsi al cambiamento. Ma dobbiamo capire tutti che cambiare fa bene, che è un valore, non può essere una sopportazione».

E però, e mi ripeto, dire partiamo senza avere obiettivi...
«Mi ripeto anch’io: il quadro è un po’ questo. Non capiamo ancora bene come sarà il nuovo mondo. Vediamo e intuiamo che qualcosa di nuovo arriverà, ma come sarà con esattezza non lo sappiamo. Però possiamo attrezzarci, cominciare a camminare».

Un po’ più nel concreto. InnexHub in questo scenario che ruolo intende avere?
«Cominciamo con tre piccoli passi. Meglio: due più uno. Quel che stiamo facendo in prima battuta è capire a che punto sono le aziende. Dobbiamo capirlo noi e poi dobbiamo farlo capire alle aziende».

Quindi una sorta di check up al sistema e un’analisi per le aziende.
«Esatto. La somma di tanti check up aziendali dà il quadro generale. E poi ogni azienda potrà capire a che punto è sulla strada della digitalizzazione».

Si può già avere una prima valutazione sul nostro sistema industriale?
«Direi che i grandi gruppi sono partiti. È questo è un primo fatto importante. Poi c’è una metà che sta cominciando e un 40% circa che non si è mosso».

Primo passo, dunque, dire alle aziende dove sono. Il secondo passaggio?
«Formare. Formare le aziende, far capire loro che servono macchine e connessioni ma servono anche coloro che gestiranno i processi. E quindi bisognerà cominciare a formare i formatori che poi andranno nelle aziende. Anche questo è un passaggio non facile da far passare. Le macchine si comprano (e il Piano Calenda è stato un detonatore straordinario su questo aspetto), ma il resto è da costruire. Anche su questo aspetto InnexHub si sta muovendo con una serie di interventi, con il sostegno delle organizzazioni di categoria e con la disponibilità delle aziende. C’è fermento, attività».

E quindi arriviamo al terzo passo...
«Il terzo tassello è un po’ più impegnativo. Ci costringe ad alzare l’asticella. Ed è il monitoraggio delle capacità dei consulenti».

Perché serve un esame aggiuntivo ai consulenti?
«Diciamo in via preliminare che un processo come la digitalizzazione nelle aziende inevitabilmente ha necessità di apporti professionali esterni. Però, come si può intuire, su un mercato così nuovo e interessante che si apre, il rischio è che ci si buttino un po’ tutti: chi ha professionalità e chi meno o molto meno. Io penso che, come struttura al servizio di tutte le aziende, dobbiamo in questo essere rigorosi. Qualificare il sistema dei consulenti è essenziale per le aziende. Sarà una sorta di accreditamento. Nessun professionista è escluso a priori, ovviamente, ma dobbiamo dare anche alle aziende dei riferimenti di qualità».

E questo è il primo step di lavoro: conoscere le aziende, far sapere loro dove sono nel processo di digitalizzazione, indicare loro anche possibili e qualificati apporti esterni. Poi si potrà partire.
«Sì, diciamo che InnexHub fa partire il suo piano e ovviamente le aziende in questo tempo non sono state ferme nè si fermeranno. Comincia una nuova storia, come si dice. L’importante è aver chiaro il metodo, fare qualcosa tutti i giorni, piccoli passi, ovviamente, ma con la costanza del montanaro: passi brevi ma continui».

Ma lei che reazioni ottiene quando parlando con i colleghi (magari di aziende piccole) che le dicono quando si parla di 4.0, di digitale, di nuovo mondo, di questi futuro ad un tempo così affascinante ma anche inquietante?
«Anzitutto mi sforzo di rappresentare loro la bellezza del cambiamento. Se si cambia ci sono mercati nuovi, opportunità nuove. Poi dico (e mi dico) che neppure gli altri - i nostri concorrenti esteri - non è che abbiano le idee più chiare delle nostre. Anche loro navigano, come si dice, un po’ a vista. E poi dico (e mi dico) che oggi per partire non ci manca niente: c’è la tecnologia, ci sono annesse agevolazioni fiscali, abbiamo uno spirito imprenditoriale che il mondo ci invidia. Non ci manca niente, dobbiamo solo decidere di lasciare il porto...».

Un’ ultima cosa. Uno scenario a suo modo affascinante, si diceva, ma anche inquietante o, per meglio dire, dai contorni non definiti. Dentro questo secondo aspetto del futuro prossimo venturo ci metto i posti di lavoro. Quanti rischiamo di perderne?
«Capisco il tema. Non so dare una risposta univoca, ma dico: dipende. Dipende da come saremo bravi. Le nuove tecnologie potranno anche togliere posti di lavoro, ma se con le stesse persone (dico per dire) riusciremo a fare il doppio (appunto grazie alle nuove tecnologie) non ne perderemo di posti di lavoro».

 

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