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Crescere in fretta è pericoloso, ma si può: il caso Ramazzini

Nell'azienda di Nave (19 addetti) hanno riorganizzato l’azienda con l’assistenza di Becom
  • Impresa 4.0, dentro la fabbrica: Ramazzini di Nave
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  • Impresa 4.0, dentro la fabbrica: Ramazzini di Nave
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AA

Sotto capannoni quasi anonimi, a volta capita di trovare belle storie, vicende di qualità, anche belle persone verrebbe da dire. Gente che, ad onta delle ridotte dimensioni aziendali, ha idee, visioni persino, gente che guarda avanti, che ha sogni e ambizioni che magari poi non riuscirà a realizzare, ma che almeno ci prova.

Ogni grande azienda è partita in piccolo. Il garage che oggi va di moda come contenitore di sogni e progetti, non appartiene solo alla letteratura. Ma un garage non basta, ad un certo punto serve una visione. E qui alla Ramazzini Egidio sono un po’ così. Oggi, Carlo ed Ezio Ramazzini, figli del fondatore dell’azienda (giusto mezzo secolo fa) si trovano ad affrontare un problema classico per le Pmi, per le aziende di ridotte dimensioni. Ed il problema è - paradossalmente - quello della crescita.

 

 

Nel senso che crescono, allargano il numero dei clienti ma si rendono ad un certo punto che non si può fare tutto, che delegare ad un certo punto si deve perchè diversamente la crescita si ferma, si va in overdose, non ci si riesce a star dietro a tutti e a tutto. Si fa la somma delle piccole o grandi responsabilità e delle funzioni che si sono sedimentate negli anni. Certo che si cresce, ma il rischio del ko (anche personale) è dietro l’angolo. E allora è bene, intelligente, doveroso per sè, la famiglia e l’azienda, decidere di delegare, di introdurre nuove figure in azienda capaci di codificare le procedure. Perché anche questo serve alle aziende: le procedure devono diventare patrimonio aziendale, non personale, non può essere un gran problema se un responsabile di reparto va in pensione: si fa una festa, ma se si porta via anche il patrimonio delle procedure e delle esperienze questo sì che diventa un problema.

La Ramazzini di Nave (dislocata su due sedi) produce macchine utensili e le rivampa come si dice oggi: le può smontare, sistemare, applicare nuova tecnologia, ad esempio sistemi 4.0. Ha 19 addetti, 1,5 milioni di fatturato. Un anno e mezzo fa, i due fratelli chiedono alla Becom di Alfredo Rabaiotti di cominciare a ragionare sul che fare per non avere alcuni dei problemi ricordati sopra. E quindi si avvia un piano di riorganizzazione e valutazione su come codificare i processi e quindi digitalizzare il know how il che significa anche - sottolinea Rabaiotti - «avere le idee più chiare su dove si vuole andare». In fabbrica entra il metodo lean. Qualche resistenza al cambiamento non è mancata fra il personale, ed è comprensibile. Il riassetto porta in azienda un nuovo e giovane responsabile della produzione e si è alla ricerca di altre figure professionali (manutentori elettronico e meccanico, operatore di macchine utensili). Si son fatte le cose anche con una certa dose, per così dire, di tolleranza, lasciando alle persone «la possibilità anche di sbagliare, di verificare dove stava il meglio: se nel vecchio modo di lavorare o nel nuovo». E alla fine si è andati tutti nella nuova direzione.

Più in generale, avere riassortito le responsabilità, ha significato anche per i Ramazzini avere più tempo ed energie per contattare i clienti, per far conoscere l’azienda che non solo rimette a nuovo vecchie macchine, ma ne fa nuove di sue dopo che nel 2006 ha rilevato la Omz di Collio, oppure consente di spingere sui nuovi programmi per la manutenzione predittiva che - dati alla mano - «consente recuperi del 30% sul fermo macchina», oppure ancora sul progetto Formazione Clienti per far capire e verificare la potenzialità delle macchine e delle nuove funzioni. In pratica: si alza l’asticella della qualità di quel che si fa. Ed è sulla formazione che i Ramazzini lasciano l’ultimo commento: «C’è un disperato bisogno di tecnici. Bisogna tornare a fare formazione all’interno delle aziende come - ai tempi - si faceva in Om-Iveco». Una riflessione non banale.

 

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