Superbonus, tanta spesa poca resa? L'exit strategy sarà dolorosa

Sarà un po' come quando la sera si fa bisboccia oltre qualche limite, il mattino sarà più o meno tosto proporzionalmente ai bicchieri bevuti. E così sarà - in parte già lo è - per il Superbonus del 110%.
L'edilizia si risveglia dopata, un po' (o molto) intontita. E del resto - diciamocelo - poteva andare avanti così all'infinito, potevamo noi - gente mediamente sensata - immaginare che per chissà quanto ci si potesse dare soldi a fondo perduto per sistemare casa, anzi: più quanto avessimo speso? Potevamo avere una simile immaginazione? Potevamo seriamente gratificarci di quelle valutazioni, riflessioni, studi più o meno paludati che dicevano, in sostanza, che buttando soldi dall'elicottero il pil avrebbe innestato il turbo, che gli impatti-extragettito avrebbero per gran parte attenuato la spesa dello Stato, che - in poche parole - si era inventata la macchina del moto perpetuo della ricchezza. Il tutto grazie al Superbonus.
Non si poteva pensarlo, non si sarebbe dovuto, anche mettendo nel conto il fatto che si stava uscendo dal coma del virus e che una sferzata servisse, che - d'accordo - è inevitabile che il Pil cresca se butti soldi dall'elicottero ma - perdio - si poteva anche pensare che non sarebbe potuto andare avanti all'infinito.
A fine gennaio 2023, gli incentivi edilizi (superbonus, facciate e gli altri) erano costati 120 miliardi per 372 mila abitazioni (il 3% circa del patrimonio abitativo nazionale). Non entro nel merito (peraltro non banale) di chi siano stati in larga prevalenza i beneficiari dei vari bonus (ovviamente quelli a reddito medio-medio alto in grado di avere la capienza fiscale adeguata) e neppure (altro tema non banale) se non fosse stato opportuno investire quei 120 miliardi in altri modi, ad esempio spingendo molto di più sull'istruzione allestendo piani e progetti che fra qualche anno avrebbero arricchito in modo stabile il Paese. O - magari - si poteva pensare di fare un mix fra scuola e cantieri. Oppure, ancora, non ho mai capito perché per rilanciare l'edilizia e risparmiare sulle bollette energetiche non si sia fatto un maxi piano sugli edifici pubblici, scuole comprese.
Però è andata come è andata. E oggi riflettiamo sulle valutazioni della Banca d'Italia che dice che solo la metà degli investimenti incentivati è stata «aggiuntiva»: in pratica la metà degli interventi li si sarebbe fatti lo stesso; e poi c'è l'analisi dell'Ufficio parlamentare di bilancio secondo cui il contributo del superbonus è stato di un punto di pil in due anni (e quindi meno di un decimo rispetto al +10,7% registrato). C'è poi, a concludere, quanto dice l'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica per il quale il fantomatico «extragettito» aggiuntivo per lo Stato sarebbe stato di 13,7 miliardi rispetto ai 68,7 miliardi (riferiti al solo Superbonus) spesi.
Magari poi sui numeri qualche ritocco è sempre possibile ma la sostanza non cambia: così non si poteva andare avanti. Certo, resta il tema che anima il dibattito in questi giorni: con le limitazioni alla cessione dei crediti ci sono 19 miliardi incagliati nei cassetti fiscali. Questo è un tema vero e serio che va affrontato e gestito per favorire una exit strategy la meno dolorosa possibile. Ma qualche mal di testa va messo in conto...
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