Dialèktika

Salàm e limù, se la sorte sceglie proprio te

La cerimonia della conta fra autorevolezza e rime insensate
La conta, il sorteggio, tra i bambini apre sempre il gioco
La conta, il sorteggio, tra i bambini apre sempre il gioco
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Quand la tóca la tóca... La sorte è insindacabile: se riguarda te riguarda te. Non ci sono scappatoie. Una dura realtà con la quale i nostri nonni si misuravano fin da bambini attraverso quella palestra straordinaria che era (e che ancora è, quando c’è...) il gioco collettivo. Sempre aperto da una crerimonia irrinunciabile.

Quella cerimonia era la cönta, chiamata anche el tóc. Ci si metteva tutti in cerchio e il cerimoniere si metteva a recitare suoni: non sempre parole dotate di significato, purché avessero ritmo e presentassero assonanze.

D’altronde la rima era fondamentale per dar fondamento alle leggi, tipo «palla contesa, palla alla difesa» a pincanello. Sia quel che sia, la sorte quando ti sceglieva non lo faceva quasi mai per un regalo: designava i bambini a cui toccava stà sóta, sottostare cioè a ruoli ingrati (tipo andare a cercare chi si nascondeva).

Le formule per la cönta erano autorevoli e insensate. Ne riporta una l’Albrici facendola risalire a inizio Novecento. Recita così: «La bòta la giànda / la fùrca ti strànga / la nìcia burnicia / la fùrca t’impica / rómp e rómp / drandéra derànda / pecatóra pecatàra / làna, löst e fröst / bòt, dènter föra e vàda». Un’altra: «La öna, le dò, le trè canèle / che sunàa le campanèle / che sunàà lorìl lorìlo / che sunàa le ventitrè / öna, dò, trè». Un’altra ancora (che a me ricorda mia nonna): «lìm botìm / salàm limù / samfì samfù / làbar todèsc / diàol e pès». Oggi le cönte non ci sono più. La sorte trova altre strade.

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