Dialèktika

Chèl che vé bù amó fra stivali e caagnöi

Vecchie giacche di lana e uova fuori posto
Caàgn, cesta di vimini intrecciati
Caàgn, cesta di vimini intrecciati
AA

«Ogne stràs de caàgn el vé bu ’na ólta a l’àn». La mia biancocrinita dirimpettaia non nasconde l’intima soddisfazione nel ritrovare, custoditi nell’antro più scuro del suo sottoscala, gli impolverati stivali di gomma del povero marito. Me li presta perché devo scendere in cantina: l’ultimo temporale mi ha lasciato una spanna d’acqua.

L’espressione «el vé bu...» è uno dei segnali più felici di quanto anticonsumistica fosse la civiltà dei nostri nonni. Una giacca di lana, per quanto demodé, non va mai buttata via: magari col prossimo freddo la vé bùna amó. E così un vecchio cacciavite arrugginito, un comodino in legno dell’anteguerra, un imbuto di latta ammaccato col quale travasare il vino...

Un oggetto che - una volta entrato in cascina - non si buttava mai era proprio il caàgn: un canestro, una cesta di vimini intrecciati, eri certo che almeno una volta all’anno ti avrebbe fatto comodo. Per raccogliere le patate dell’orto, le pannocchie spigolate, le castagne... Di ceste ce n’erano di misure diverse: dalla caàgna più grossa e pesante al minuto caagnöl, adatto ai bambini o a raccogliere fragole e ciliege.

Il termine caàgna - che compare già nella Massera da Bé, nella descrizione di un mercato - deriva dal latino «cavaneum» e indica il suo essere cava, pronta a contenere. La storica diffusione del suo uso le ha permesso di entrare in molte espressioni proverbiali bresciane. Oltre a quella usata dalla mia dirimpettaia ricordo «vàntet caàgna che ’l mànec l’è rót» o anche «fà l’öf föra dàla caàgna». Ma devo fermarmi qui: adesso infilo gli stivali e scendo ad asciugare la cantina.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato