Cespugli di poesia fra Grecia e Scozia

Radici profonde. Che ci tengono indissolubilmente aggrappati a questa nostra terra. E che - pur se non viste - sottotraccia sono capaci di intrecciare legami con terre lontane. Dalla antica Grecia fino alla brumosa Scozia.
La conferma mi è arrivata - una volta di più - leggendo una delle poesie della raccolta «En pìt de gnènt» di Lino Marconi, intenso autore clarense che proprio oggi (ore 17, alla Biblioteca di Ome) dialogherà con Elena Maiolini nell’ambito degli appuntamenti promossi dagli Atenei di Brescia e Salò.
Recita la poesia «Raìs»: «Sgàrie nel fònd de l’ànema, staséra / per disfà i gróp che ’l tèmp el g’ha ’nmöciàt, / déme de ’n viàs segnàt de ’na baléra / endó barbèl fa parì de balà». Mi ha rapito il termine déme, che io non avevo mai incontrato ma che Marconi nel suo dialetto occidentale pastoso e antico frequenta volentieri. Le déme sono le orme. Se ci pensate, la «dima» è il modello sagomato con cui l’artigiano controlla le misure di un pezzo. E per il greco antico «dèigma» era proprio il modello, il campione. Ma andiamo avanti.
«Sùra le strade del mónd la spasèza / zènt d’ogni sórt a sensa conosìs / sènsa ’ncontràs, divèrs e difidènc». Poi la chiusa sotterranea: «Broiér e piànte ’nvéce dènt al bósc / i se tróa tra de lùr, con le raìs, / rispèt a nó che credóm d’ésser vìv». In questo intreccio di radici sono rimasto avviluppato dalla parola broiér. Che sono i cespugli. E proprio «brugo» è in italiano uno dei nomi popolari dell’erica. Cespuglio fiorito e resistente che non a caso segna nel nord della Gran Bretagna le estese... brughiere inospitali. Il dialetto, radici profonde.
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