Selvaggina: i segreti di chef Cerveni

Come rendere al meglio la carne di piccione: i suggerimenti dello stellato del Due Colombe
Stefano Cerveni. Lo stellato fa da sempre parte della brigata di «Chef per una notte» - Foto © www.giornaledibrescia.it
Stefano Cerveni. Lo stellato fa da sempre parte della brigata di «Chef per una notte» - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Autunno, tempo d’elezione in cucina per selvaggina e cacciagione. Un universo di sapori, spesso forti e selvatici, che un cuoco provetto deve saper proporre anche all’esigente palato moderno. Una sfida che abbiamo proposto a Stefano Cerveni, alla guida dello stellato Due Colombe di Corte Franca e della terrazza milanese della Triennale, da sempre tra i nostri preziosi collaboratori a Chef per una notte, di affrontare con noi l’impegnativo tema della carne di piccione e di guidarci nella scelta e nella sua preparazione.

 

In menù.  Insalata di fiori e germogli, bocconcini di quaglia, aceto balsamico e foie gras: un piatto di Cerveni - Foto © www.giornaledibrescia.it
In menù. Insalata di fiori e germogli, bocconcini di quaglia, aceto balsamico e foie gras: un piatto di Cerveni - Foto © www.giornaledibrescia.it

Caratteristiche. «Iniziamo col dire - attacca Stefano - che il piccione è una selvaggina… poco 'selvaggia', nel senso che solitamente in cucina non si utilizza un colombo o un colombaccio, ma un animale allevato a terra e che non ha ancora cominciato a volare». Gli esemplari migliori arrivano dalla Francia che ha una storica tradizione ed una autentica passione gastronomica per questo ingrediente, «anche se recentemente - spiega ancora lo chef - qualcosa di buono arriva da qualche allevamento veneto». Cosa non fare. In cucina arriva un animale solitamente senza piume ma ancora con le interiore («che vanno tolte e riservate, se si ritiene, a qualche salsa o a qualche creazione d’accompagnamento» spiega Cerveni) e l’errore assolutamente da evitare è uno solo secondo il nostro interlocutore: «Mai cuocerlo a lungo, mai cuocerlo ad una temperatura troppo elevata. Infatti, cotture eccessivamente lunghe rendono la carne stoppacciosa e, curiosamente, più si cuoce più emergono sgradevoli sapori selvatici che non gradevoli al palato».

Cottura. L’obiettivo pertanto non può che essere «una carne cotta a puntino, ma che non rilascia più sangue che risulterebbe anche poco estetico nel piatto». La lezione moderna rinuncia dunque all’antica goccia di sangue allo spezzar dell’osso, preferendo un petto rosa ma cotto, ovvero ancora ricco dei suoi umori.

Basse temperature. Per ottenerlo il consiglio di Stefano è d’affidarsi alle tecniche più avvertite della cottura a bassa temperatura: «Io preferisco lavorare sottovuoto, ovvero senza ossigeno, mettendo a cuocere l’intero piccione per una quarantina di minuti con non più di 70 °C ». Così il piccione non cuoce completamente, ma rilascia tutto il sangue. Quindi il piccione viene raffreddato rapidamente a temperatura ambiente e ripassato in padella per pochi minuti così da rassodare e rendere più saporita la parte esterna senza che l’interno ne soffra. Non resta quindi che servirlo ben caldo all’ospite che l’ha ordinato.

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