Ambiente

«Meno carne rossa e sprechi per non mangiarci il clima»

Riccardo Valentini, docente all’Università della Tuscia, parlerà martedì 25 alle 18 a San Barnaba
Mucche - © www.giornaledibrescia.it
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Anche mangiare troppa carne rossa fa male al clima. Il sistema agroalimentare, infatti, è ormai una delle cause principali del surriscaldamento del pianeta, eppure gli effetti sull’atmosfera del nostro modo di produrre e consumare cibo sono spesso sottovalutati. Di clima e alimentazione Riccardo Valentini - un pioniere delle ricerche sul ruolo dei sistemi agro-forestali nei cambiamenti climatici - parlerà martedì 25 febbraio (ore 18, San Barnaba di piazzetta Michelangeli, a Brescia) nell’ambito dei Pomeriggi della Fondazione Calzari-Trebeschi.

Valentini, docente all’Università della Tuscia, con altri scienziati dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha ricevuto nel 2007 il premio Nobel per la pace.

Professore, quanto influisce l’agricoltura intensiva sulla produzione di gas serra? Il rapporto 2019 dell’Ipcc su cambiamento climatico e territorio, calcola che il contributo del sistema agroalimentare globale è del 37%. In questa percentuale comprendiamo la produzione agricola vera e propria ma anche la deforestazione tropicale, la trasformazione industriale e, a fine della catena, il rifiuto alimentare.

Ma si può avere una produzione agricola più sostenibile e, nello stesso tempo, in grado di sfamare una popolazione in crescita esponenziale? Si può, e per capirlo bisogna guardare ai paradossi del sistema alimentare. Il primo è che nel mondo abbiamo circa un miliardo e 800 milioni di persone obese a fronte di circa 800 milioni di persone malnutrite. Entrambe queste categorie muoiono, per ragioni diverse, al ritmo di 30 milioni di persone all’anno.

Si può quindi dire che mangiamo in modo sostenibile? Sicuramente no. A questo si aggiunge il cibo buttato… Finisce nella spazzatura quasi il 40% del cibo che produciamo: la terra che coltiviamo senza usarla è grande quanto l’intera America del Nord, l’America centrale e una parte di Sudamerica. Possiamo dunque rendere più efficiente il sistema agroalimentare globale attraverso diete più sostenibili e un uso della terra più consapevole. Anche la tecnologia può aiutarci a produrre meglio e di più rispettando l’ambiente.

Lo spopolamento delle campagne è un altro problema? Comporterà un cambio di paradigma. Secondo le statistiche, nel 2050 l’80% delle persone vivrà in città. Chi coltiverà allora le campagne? Credo che su questo non abbiamo ancora sviluppato una strategia globale.

Può illustrarci un progetto concreto per cercare di cambiare rotta? Sono impegnato in un progetto finanziato dall’Unione europea per introdurre nelle mense uno stile di dieta sostenibile. Lo sperimentiamo in Italia e Inghilterra, in mense universitarie e aziendali. Si chiama Su-Eatable Life, è coordinato dal Barilla Center for Food and Nutrition e ha come partner inglese la Sustainable Restaurant Association. Sviluppiamo menu sostenibili: in Italia c’è un piatto chiamato "My Plate 4 the Future". L’esperimento durerà otto mesi e alla fine faremo i conti di quanti pasti sostenibili sono stati scelti e di quante emissioni sono state evitate.

Quali sono le caratteristiche di un menu sostenibile? Riducendo, ad esempio, il consumo di carne rossa a non più di due giorni a settimana avremmo un risparmio del 30% delle emissioni di gas serra. Anche una piccola riduzione ha un impatto importante sull’ambiente. Non si tratta di fare una battaglia ideologica contro la carne, ma di moderarne il consumo.

Questi cambiamenti devono partire dai cittadini o serve la politica? Vedo maggiore attenzione alla sostenibilità da parte dei cittadini o anche delle grandi aziende. Ciò che manca è la politica. La Commissione europea ha una propria linea, e i governi la seguono. Quello che non funziona, in Italia, è il passaggio dalle strategie nazionali alle realtà locali. Le Regioni, in particolare, sono totalmente assenti. È ferma la politica territoriale, che dovrebbe essere quella della concretezza. Perché le cose ormai le abbiamo dette, ora si tratta di metterle in pratica.

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