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L'«inquinante eterno» in almeno quattro siti bresciani: la mappa delle contaminazioni da Pfas

Salvatore Montillo

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14 mar 2023, 06:50
La mappa dei punti in cui è stato rilevato o è presunto l'inquinamento da Pfas nel Bresciano

La mappa dei punti in cui è stato rilevato o è presunto l'inquinamento da Pfas nel Bresciano

Volgarmente sono conosciuti come «inquinanti chimici eterni» e gli scienziati ne parlano come di un velo adagiato sul nostro pianeta, che rimarrà lì per migliaia di anni. Noti come Pfas, sostanze perfluoro alchiliche, si sono diffusi in tutto il mondo a partire dagli anni Cinquanta, ma che fossero davvero dappertutto fino al mese scorso era solo un’ipotesi, confermata adesso da una ricerca su scala senza precedenti condotta da «Le Monde» e da 17 partner nell’inchiesta giornalistica internazionale chiamata The Forever Pollution Project.

Dall’indagine è stata realizzata una mappa che individua più di 17mila siti in Europa contaminati da questi veleni chimici, oltre 2mila in cui la loro concentrazione è considerata pericolosa per la salute e altri 21mila siti in cui l’inquinamento è presunto. Anche in provincia di Brescia

Cos'è

I Pfas – la cui famiglia è composta da qualche migliaio di sostanze di diversa tossicità – sono presenti in quasi tutti gli oggetti che comunemente utilizziamo: abiti, saponi, strumenti sanitari, confezioni di cibo, bicchieri in carta riciclabile, padelle antiaderenti, vernici, finestre, biciclette e molti altri ancora.

La caratteristica chimica dei Pfas li rende persistenti nell’ambiente e nell’organismo umano, per un periodo prolungato. Gli studi scientifici concordano che sul piano epidemiologico ci sono alcune patologie per le quali vi è evidenza di una possibile associazione con l’esposizione da Pfas: immunotossicità, con ridotta risposta alle malattie infettive e ridotta risposta alle vaccinazioni; colesterolo alto, aumento dei trigliceridi e della pressione arteriosa, malattie renali e alla tiroide. Per prevenire l’assunzione di queste sostanze, l’Istituto superiore di sanità ha proposto alcuni limiti nelle acque potabili: 100 nanogrammi per litro d’acqua di ogni singolo Pfas (i più pericolosi sono dodici, tra i quali Pfoa, Pfos, Pfba, C604 e GenX)  e 500 nanogrammi/l come somma di tutti. L’Ispra, invece, con riferimento alle acque di scarico, raccomanda zero, cioè assenza di queste sostanze.

L'inchiesta di Nadia Toffa

In Italia le sostanze perfluoro alchiliche sono note al grande pubblico grazie a Nadia Toffa che, dal 2016 fino a pochi mesi prima di morire, si è occupata per conto de Le Iene della contaminazione chimica dell’acqua in Veneto, scoperchiando una situazione di grave inquinamento delle falde causato dalla Miteni di Trissino, nel Vicentino. Si tratta di un’azienda chimica di proprietà di WeylChem, fallita nel 2018 proprio in seguito all’avvelenamento della falda freatica con tensioattivi perfluorurati quali PFOA, GenX e C6O4.

Con la sua inchiesta, Nadia scoprì che dai rubinetti domestici di 300mila veneti usciva acqua contaminata da queste sostanze tossiche, finite quindi anche nel cibo e nel sangue di tanti cittadini. Se il Veneto è la regione con il più alto tasso di inquinamento da Pfas (in Italia è anche l’unica ad avere una legge che ne individua i valori limite nelle acque potabili, in quelle da scarico, nella falda e nei terreni) la Lombardia e la provincia di Brescia non ne sono esenti.

A Brescia

Per quello che riguarda la nostra regione, la mappa realizzata da Le Monde su dati di Arpa Lombardia (qui la fonte dati complessiva del progetto), individua nel Bresciano almeno quattro siti dove la contaminazione è certificata dai piezometri dell’Agenzia: al depuratore di A2A di via Verziano a Fornaci, dove la concentrazione di Pfas è di 64.1 nanogrammi per litro d’acqua; in via Coler a Flero, 13 nanogrammi/litro; in via Campagna a Montichiari, al confine della discarica di A2A, 110 nanogrammi/litro e, infine, a Ghedi, nel torrente Garza, dove la contaminazione da Pfas è spaventosa: 1.659 nanogrammi per litro d’acqua.

Esistono, secondo la mappa del quotidiano francese, almeno una trentina di zone nella nostra provincia dove c’è una «sospetta contaminazione» e tre siti industriali dove i Pfas vengono utilizzati: a Ponte San Marco dalla Cavagna Group, a Travagliato dalla Fht e a Polaveno dalla Binox. Non ci sono impianti di produzione bresciani che sintetizzano i Pfas, da utilizzare come visto in una moltitudine di settori.

L’Arpa

I dati lombardi ripresi da Le Monde risalgono al periodo compreso tra il 2018 e il 2021. Proprio nel 2018 Arpa Lombardia ha realizzato monitoraggi su 54 stazioni con cadenza bimestrale o trimestrale, cercando i 12 principali Pfas. «La caratteristica di questi Pfas – spiega Fabio Cambielli, direttore del dipartimento bresciano di Arpa – è quella di essere idrosolubili, si sciolgono cioè nell’acqua e l’uomo li assume attraverso gli alimenti. A differenza delle diossine che sono liposolubili, i Pfas non si accumulano nei grassi, ma li trattieni a livello di sangue e di fegato e diventano biodisponibili».

Come detto, l’unica regione italiana a essere corsa ai ripari è stato il Veneto, che ha realizzato uno studio sugli alimenti e individuato nelle province di Vicenza, Padova e Verona i Pfas nelle uova, nel pesce, nell’uva e nella frutta. E nel sangue dei residenti.

La legge

In Italia esiste da tempo un disegno di legge fermo in Senato, mentre l’Istituto Superiore di Sanità ha proposto il rispetto di alcuni parametri per la salvaguardia della salute: 100 nanogrammi/litro per ogni singolo Pfas per le acque potabili, 500 nanogrammi/litro come sommatoria. L’Ispra, invece, raccomanda limite 0 nelle acque di scarico

L’unica regione d’Italia ad aver adottato dei limiti, quella che vive da anni un gravissimo livello di inquinamento, è il Veneto, che prevede nelle acque potabili 30 nanogrammi al litro per Pfos, 90 per la somma Pfoa+Pfos e 300 per la somma di tutti gli altri Pfas. Trenta Pfos per le acque di scarico e 500 Pfoa per la falda.

Per i terreni, invece, il limite è di 500 nanogrammi per chilo di terreno ad uso verde/residenziale.

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