Cultura

«L’uomo ci sa davvero fare quando deve far del male»

Nel libro «Tu non ci credere mai», Alessandro Marchi narra la sua storia familiare, risalendo al Novecento
Alessandro Marchi, autore del libro «Tu non ci credere mai» - © www.giornaledibrescia.it
Alessandro Marchi, autore del libro «Tu non ci credere mai» - © www.giornaledibrescia.it
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Un nonno mai conosciuto, se non per qualche frase sentita in famiglia che rimandava all’Africa delle guerre coloniali; una famiglia tormentata e divisa nel tempo di guerra sugli Appennini rastrellati da tedeschi e fascisti; e un nipote laureato in storia contemporanea che si mette in cerca di documenti e testimonianze per ricreare un vissuto che sappia parlare al presente.

Non poteva che nascere un racconto di forte impatto, vincitore del concorso «Fai viaggiare la tua storia» edizione 2018. Edito da LibroMania, «Tu non ci credere mai» sarà presentato dall’autore giovedì 27 settembre in sala Libretti.

«Il titolo - spiega Alessandro Marchi - era inizialmente più lungo: "Dicono che è stato un cavallo, ma tu non ci credere mai". Abbreviato, diventa un invito a non accettare qualsiasi spiegazione, ad andare in profondità. Mia zia Ivanna raccontava che il nonno era tornato dall’Africa con l’epilessia per una caduta da cavallo, per mio padre invece la causa era lo spavento provato perché bruciava la sua tenda. Mi sono chiesto come fosse possibile che in tanti anni a nessuno fosse venuta voglia di sentire la versione giusta.

Il libro è nato dall’esigenza di scoprire cosa fosse veramente successo, di ridare dignità al nonno che non avevo mai conosciuto, immaginando quanto brutto dovesse essere per lui sentirsi isolato nella sua stessa comunità. Per me significava colmare una lacuna nella memoria familiare: non si parlava di questo nonno ricoverato in manicomio, credo per una sorta di pudore e anche perché i figli cresciuti in orfanotrofio l’avevano visto pochissimo».

Immaginazione e fatti documentati si legano nel romanzo storico che alterna in prima persona, tra il 1935 e gli anni ’50, i due racconti del nonno Aldo e del padre Marino. «Mi è venuto naturale: vedo tra i due un filo che lega anche me, per caratteristiche comuni. L’ambientazione era già nella mia testa, avendo il mio nonno materno indagato sulla storia dell’eccidio di Monte Sole. Passeggio spesso in quelle zone dell’Appennino dove viveva la mia famiglia. Ho letto libri, diari, testimonianze, ho visto video e foto. Per ricostruire l’esperienza in Africa, del disgusto davanti ai morti per i nostri bombardamenti con iprite ho potuto utilizzare frasi riportate su testi storici. Veri sono i documenti del manicomio. Vera è la storia del matrimonio con Carolina, la nonna uccisa da una granata.

Per il resto, a parte Marino, ho dovuto ricreare le caratteristiche dei personaggi, sulla base di parole sentite, di mezze frasi buttate lì. Del nonno si è sempre detto che era un tipo un po’ particolare, che se ne andava in giro per i fatti suoi. Io lo immagino curioso. È vera la partenza in nave per l’Africa, i dialoghi sono inventati». Tra i personaggi reali, ha un ruolo importante la nonna Carolina. «Protagonista è Aldo, ma la presenza di lei è essenziale per riuscire a fargli vivere un’esistenza normale. Nella sua assenza si genera il dramma, quando lei muore e lui perde i bambini: mia zia ricorda molto bene il viaggio di notte, portati via dalla Croce Rossa».

Tra le stragi, i pregiudizi in paese, i trattamenti crudeli e ingiustificabili in manicomio, il libro parla dell’attitudine degli uomini a farsi del male tra loro, in modi diversi. «Siamo fantastici a farci del male, a dividerci in maniera pretestuosa. Chi non ha provato su di sé o sui suoi cari episodi di esclusione? Temo che faccia parte della natura dell’uomo avere paura della diversità e, cercando di incasellare, creare contrapposizioni, pensare di avere diritti di supremazia. Nel libro parlo di un preciso momento della storia, che la maggior parte di noi non ha vissuto per esperienza diretta, ma si possono riscontrare anche oggi in tutti i campi l’emarginazione, il pregiudizio che rende difficile il rapporto. Riguardo al male, ci sappiamo fare».

Il trentanovenne Alessandro Marchi ha già all’attivo altre pubblicazioni e coltiva la scrittura in parallelo al suo lavoro al Parlamento europeo dove, dice, «essendo inserito nella commissione per la pesca ho occasione di fare incontri interessanti, con persone distantissime per esperienza di vita, che però creano empatia e nascono ispirazioni da facce, nomi, parole. Sono molto contento della vostra iniziativa di promozione del libro e il concorso che mi ha dato l’opportunità di pubblicarlo è un’operazione che ha molto senso. È quel che dovrebbero fare le case editrici: cercare chi scrive qualcosa di valido e sostenerlo».

Ecco la registrazione integrale dell'incontro:

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