Il ministro Ciriani: «Unità in Aula per essere forti in politica estera»
In mano l’agenda dei prossimi giorni. «Abbiamo tempi strettissimi per approvare decreti pesanti» spiega Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento che ha fatto vista alla redazione del Giornale di Brescia. «Il clima in aula non è dei migliori» ammette.
Ministro, cosa significa tenere i rapporti con il Parlamento?
È un mestiere un po’ faticoso e un po’ ingrato perché si tratta di caricarsi sulle spalle le decisioni del Governo e di portarle a buon fine nei tempi previsti. Tento anche di interpretare psicologicamente, oltre che politicamente, il ruolo delle opposizioni e così cerco di fare l’ambasciatore del Governo in Parlamento e il sindacalista del Parlamento nel Governo.
Le opposizioni accusano il governo di usare eccessivamente i decreti legge.
Sono previsti per legge e sono anche inevitabili, pur riconoscendo che il Parlamento soffra per questa situazione. Siamo esattamente allo stesso ritmo, circa tre decreti e mezzo al mese, del governo Draghi. Questo perché la gente vuole risposte immediate dalla politica. So però bene che talvolta questa corsa contro il tempo della politica, non è sempre la risposta giusta.
In Parlamento il dibattito però è aperto sui temi forti. Le guerre, il posizionamento dell’Italia, il riarmo…
C’è il tentativo di trovare una visione unitaria perché in politica estera tutti i governi hanno una seria necessità di avere non solo il confronto, ma anche il supporto più largo possibile del Parlamento. Se tu riesci ad avere un consenso che è superiore al perimetro della tua maggioranza sei più forte sul fronte internazionale dove dovrebbe prevalere l’appartenenza all’Italia più che l’appartenenza alla maggioranza o all’opposizione. Noi abbiamo cercato di fare nostro questo principio quando è scoppiata la guerra in Ucraina.
Situazione diversa invece per la guerra in Medioriente.
Sulla Palestina nella prima fase abbiamo cercato di votare risoluzioni unitarie. Adesso no, il clima è peggiorato da questo punto di vista ed è un peccato in chiave internazionale. Il tentativo viene fatto sempre, ma per esempio l’ultima volta, ognuno si è votato la propria risoluzione.
E all’estero davanti ad un Parlamento spaccato, qual è il pensiero sull’Italia?
Più in Parlamento c’è un’intesa e più il Paese appare forte. Chiaramente il Governo va avanti lo stesso, ma il passaggio parlamentare in questi contesti è assolutamente fondamentale. L’abbiamo detto e ribadito: non so come finirà questa crisi in Medio Oriente, ma nel caso ci fossero ulteriori passaggi sicuramente il Parlamento sarà informato per quanto riguarda le basi militari, il posizionamento dell’Italia, le scelte che si faranno. È l’interesse di tutti che avvenga nella massima trasparenza.
Come valuta l’obiettivo di aumentare la spesa militare fino al 5%?
Abbiamo vissuto per cinquant’anni sotto l’ombrello protettivo degli Stati Uniti e della Nato che pagavano per la nostra difesa. Noi ci lamentavamo di essere a sovranità limitata, ma ci andava bene il fatto che poi alla fine i conti della difesa fossero in carico ad altri. Ora Trump sta dicendo «noi non paghiamo più» oppure «paghiamo meno e quindi la differenza la mettete voi». Il 5% è un obiettivo a lungo termine, ci sarà una verifica intermedia fissata al 2029 e sicuramente un po’ si crescerà. C’è però l’impegno del Governo a non aumentare la spesa militare a scapito delle poste sociali e del welfare.
Veniamo alla politica interna. Sul terzo mandato la maggioranza non è riuscita a trovare l’intesa. Perché?
Personalmente ero abbastanza aperto a discutere del terzo mandato, in maniera laica, cioè senza pregiudizi. Però quello che non accetto è che si dica che il limite del mandato è un capriccio inventato per fare un torto a Zaia, Fontana, Fedriga o a De Luca o che venga presentato come se fosse la volontà di limitare il diritto dei cittadini. Alla fine Forza Italia ha detto che l’argomento non era nel programma e così è saltato. Aggiungo che i tempi erano risicatissimi e sarebbe servito un miracolo.
Quali sono invece i tempi per le grandi riforme, come giustizia e premierato?
Credo che si possa arrivare realisticamente a chiudere sulla separazione delle carriere per l’inizio del 2026. Il premierato è un po’ in stand by perché la Commissione Affari Costituzionali della Camera era intasatissima di altri provvedimenti cose e solo adesso sta riprendendo un po’ il suo corso.
E la legge elettorale?
Una cosa che va fatta coinvolgendo l’intero Parlamento. Anche perché chi fa la legge elettorale pensando di usarla per vincere le elezioni poi di solito le perde. Il premierato porta con sé la necessità di una legge che punti sulla stabilità di un governo
Il senatore bresciano Alfredo Bazoli sulle pagine di Avvenire ha dichiarato: «Sul fine vita la maggioranza è divisa ma su cure palliative e sanità non siamo distanti». Sono maturi i tempi per un intervento del Parlamento?
Io sono tra quelli in maggioranza che condividono l’idea che la legge sul fine vita debba essere fatta. Abbiamo perso anche troppo tempo ed è una questione in evoluzione anche rispetto alla sensibilità della gente. Bisogna evitare che la gente si senta abbandonata. È importante che almeno un testo di legge venga individuato. Magari non risolveremo tutti i problemi, ma già il fatto che il tema viene affrontato e che il Parlamento se ne occupi è già, secondo me, un passo in avanti. Eviterei su queste tematiche guerre di religione o battaglie di partito E quindi è bene che il Parlamento si sia mosso e qualsiasi norma uscirà anche se magari sarà imperfetta è già meglio del nulla che c’è adesso.
Da ministro per i rapporti con il Parlamento, oggi qual è la sua principale preoccupazione?
Devo dire banalmente i decreti da portare a termine. Penso a quello dovrà essere convertito entro il 7 agosto e che contempla numerose materie. Domani c’è il Consiglio dei Ministri e dirò: «Andiamo a sbattere se non facciamo in fretta».
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