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Dar es Salaam incrocio di religioni che convivono

«Mi sai indicare la strada per i templi indù?» ho chiesto a un ragazzo dai vaghi tratti indiani in un pomeriggio di fine agosto a Dar es Salaam, capitale della Tanzania.
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«Mi sai indicare la strada per i templi indù?» ho chiesto a un ragazzo dai vaghi tratti indiani in un pomeriggio di fine agosto a Dar es Salaam, capitale della Tanzania. «È per di là, ma non posso accompagnarti: sono musulmano e oggi è Ramadan e devo andare alla Moschea» mi ha risposto indicando una via da cui spuntavano decine di minareti, non lontano dalla grande chiesa cristiana cattolica di Saint Joseph.
Le indicazioni erano esatte e non è stato difficile raggiungere la strada su cui si affacciano i portali arzigogolati dei templi indù, che si alternano alle porte a vetri dei ristoranti con cucina indiana. Una volta dentro le vaste sale decorate con scritte in sanscrito e statue di divinità induiste, ho chiesto altre spiegazioni al custode, un tanzaniano sulla settantina. «Quella statua di donna è Dio, come quella accanto. Ma anche quella là in fondo di uomo e quella mucca in pietra all'ingresso... anche loro sono Dio. Io, non ci capisco niente!» mi ha spiegato con tono sconsolato, spiegandomi di essere un cristiano anglicano. Chiedergli di destreggiarsi nel complesso pantheon induista è davvero troppo. Ma Dar es Salaam è un vero porto di mare, dove nei secoli non si sono scambiate solo merci, ma anche le idee e le culture dei popoli che vi si sono trasferiti.
La città colpì profondamente il nostro Duca degli Abruzzi nel 1906, quando vi sbarcò per poi proseguire alla conquista del Rwenzori, i mitici Monti della Luna al confine fra Uganda e Congo, e da cui prende vita il magico Nilo.
Vi abitò invece per diverso tempo, prima e durante la Seconda Guerra mondiale, lo scrittore per bambini Roal Dahl, che lì divenne pilota della Raf (le forze aeree britanniche). 

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