Crolli sulla Cima Falkner tra le Dolomiti di Brenta

Le Dolomiti di Brenta costituiscono un’isola di dolomia che la faglia delle Giudicarie separa geologicamente dai gruppi intrusivi della Presanella e dell’Adamello.
Le forme austere delle spettacolari guglie e delle pareti del Brenta sono le più vicine al territorio bresciano tra le porzioni di Dolomiti inserite nel Patrimonio Mondiale Unesco. Assumono quindi un rilievo particolare tra cronaca e monito, in virtù della presenza dei numerosi escursionisti della nostra provincia che frequentano questi sentieri trentini, i crolli recenti avvenuti sulla Cima Falkner nelle scorse settimane.
La Cima Falkner (2992 metri s.l.m.) è la più elevata tra quelle presenti tra la Bocchetta dei Camosci e la Bocca di Vallesinella, nella zona centrosettentrionale del gruppo. La sua salita avveniva solitamente con approccio dal sentiero attrezzato «Benini», un tratto della celebre «Via delle Bocchette» dal quale la cima dista un centinaio di metri di dislivello, e veniva raggiunta risalendo con attenzione un canale di pietre instabili.
Massa instabile
I crolli avvenuti il 27 luglio scorso e il successivo 1 agosto hanno profondamente modificato il profilo di questa montagna. Il Servizio Geologico della Provincia Autonoma di Trento ha potuto stimare, mediante sopralluoghi condotti in elicottero e con i droni, che i volumi di roccia caduti sono pari a circa 36.000 metri cubi, e hanno interessato soprattutto il versante sud-ovest della cima. Il modello tridimensionale elaborato ha valutato una massa totale potenzialmente instabile nella zona sommitale di circa 700.000 metri cubi. Non sono previsti crolli dell’intero versante, tuttavia altri assestamenti minori potrebbero accadere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Sentieri
I materiali franati hanno interessato anche la percorribilità di alcuni sentieri e vie alpinistiche. La Società Alpinisti Tridentini pubblica gli aggiornamenti sul suo sito, compresa l’indicazione dei tratti interdetti al transito per motivi di sicurezza (il sentiero «Benini» è ancora chiuso).
I monitoraggi avviati con il supporto delle Università di Firenze e di Milano Bicocca mediante l’utilizzo di satelliti, droni e laser a scansione permetteranno di ottenere un quadro più dettagliato riguardo alla possibile evoluzione del fenomeno e alle sue cause. Tra le motivazioni ipotizzate per i recenti crolli si citano i potenziali effetti degli agenti atmosferici (pioggia e cicli di gelo e rigelo) sulle rocce dolomitiche fratturate, l’azione della forza di gravità e la degradazione del permafrost, il suolo perennemente gelato.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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