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Atlante domato su due ruote da tre intrepidi bresciani

L’esperienza di Raineri Tamburini e Di Betta nell’ultracycling sui monti del Marocco
Il chirurgo bresciano Ernesto Di Betta durante la sfida dell’Atlas Mountain Race © www.giornaledibrescia.it
Il chirurgo bresciano Ernesto Di Betta durante la sfida dell’Atlas Mountain Race © www.giornaledibrescia.it
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Hanno pedalato per giorni, riservando poche ore al sonno ed al riposo, arrivando fino al limite delle loro forze, affrontando una sfida più con sé stessi che con gli altri partecipanti alla gara di ultracycling «Atlas Mountain Race», attraverso la catena dell’Atlante in Marocco.

Protagonisti

Tre i bresciani (uno di adozione, perché bergamasco che lavora nella nostra provincia) che hanno realizzato il sogno di arrivare alla fine di una corsa estrema che li ha portati in paesaggi meravigliosi, in un ambiente di aspra bellezza, tra deserto e montagne, tra oasi e palmeti, passando in piccoli villaggi arroccati abitati da persone accoglienti e gentili, dormendo quel poco sotto un cielo trapuntato di stelle.

Sono Ernesto Di Betta, chirurgo di 54 anni (novantesimo al traguardo), Cristiana Tamburini, 36enne responsabile e-commerce in un’azienda (giunta sessantaseiesima) e Mauro Raineri, 49enne, infermiere (67°), partiti da Marrakesh ed arrivati alla città portuale di Essaouira in sella alle loro Gravel lungo un percorso di 1.300 chilometri con oltre 21.000 metri di dislivello, dal 9 al 17 febbraio e con temperature che hanno sfiorato i 40 gradi.

«Ho portato al massimo ogni cellula del mio corpo per realizzare questo sogno - afferma Di Betta -, spingendomi fino al limite e non tenendo conto dei segnali che il fisico mi mandava. Dopo 800 chilometri per un dolore al ginocchio stavo per abbandonare, ma poi ho rallentato ed ho stretto i denti per arrivare al traguardo».

Forza di volontà

Non è tanto l’ordine di arrivo ad interessare i protagonisti di questa avventura, quanto il desiderio di raggiungere l’obiettivo nonostante la fatica immane, la forza di volontà spinta al massimo per chiudere un’esperienza unica, preparata con mesi e mesi di allenamento «sfruttando la Maddalena».

Cristiana Tamburini ha dovuto fare i conti con una caduta, problemi ad un ginocchio e ad un piede, tanto che è stata costretta ad un cambiamento di percorso e per questo gli organizzatori l’hanno penalizzata: «Ma il mio obiettivo - ricorda - era quello di arrivare in fondo e ce l’ho fatta. Di questa gara mi resteranno impressi il paesaggio bellissimo che abbiamo attraversato, il calore delle persone che abbiamo incontrato, l’essermi trovata nel mio habitat, a mio agio seppur nel disagio più remoto, in solitudine».

Tutti coinvolti in un «viaggio introspettivo, in cui si avanza per piccoli obiettivi - confida Di Betta -, un’esperienza che arricchisce la conoscenza del tuo corpo ma soprattutto punti nascosti della tua mente, senza la quale le gambe non andrebbero, che ti dà la capacità di reagire quando la strada si fa dura e ci sono difficoltà da superare», conclude Raineri. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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