Un riformista per l’Iran, ma le incognite restano

La campagna elettorale per le presidenziali che nel 2005 vide opporsi il conservatore Hashemi Rafsanjani, potentissimo Hojatoleslam, nonché padre nobile della Rivoluzione, al laico Mahmoud Ahmadinejad ebbe qualcosa di paradossale. Per le strade di Teheran si poteva allora notare un fermento non comune, fatto di giovani che con bandiere, spille, manifesti, canti e slogan ritmati, motociclette e rollerblade sostenevano festosamente Rafsanjani in una campagna dal puro stile americano. Non bastò il loro entusiasmo ad evitare che l’Iran venisse guidato per due mandati dall’ultraconservatore ex sindaco di Teheran il quale, tra i molti demeriti, ebbe anche quello di marginalizzare ancor di più il Paese dalla comunità internazionale, facendo sì che anche l’Unione Europea iniziasse una politica sanzionatoria verso la Repubblica Islamica.

Unico elemento di novità e, almeno inizialmente di speranza, immediatamente disillusa, era il fatto che la sua elezione interrompeva la lunga sequela di figure religiose alla guida della nazione. Oggi, dopo due altri mandati di Presidenti membri del clero, si riaffaccia sul proscenio della politica iraniana nuovamente un laico, il riformista Masoud Pezeshkian. Esponente della fazione moderata, al ballottaggio ha prevalso con oltre tre milioni di voti sul suo concorrente, l’ultraconservatore Saeed Jalili, che si poneva come continuatore della politica di Raisi. A Pezeshkian il merito di essere riuscito ad attirare alle urne diversi milioni di iraniani e di portare la percentuale dei votanti al 50%, contro il 40% del primo turno, catturando anche parte dell’elettorato conservatore, che così gli ha garantito la vittoria, disilluso dalla scarsa efficacia della politica economica della precedente amministrazione, incapace di dare risposte soddisfacenti alla crisi innescata dal ritiro unilaterale degli Stati Uniti dagli accordi sul nucleare e che ha fatto crescere esponenzialmente l’inflazione.

In una campagna elettorale quasi afona, ad eccezione degli ultimi due concitati dibattiti televisivi, Pezeshkian su alcuni temi si era mostrato «attendista», preferendo non presentare un concreto piano d’azione, a differenza del suo sfidante, ma ripromettendosi di affrontare i problemi passo dopo passo, una volta eventualmente insediatosi in Pasteur street, sede della Presidenza iraniana, e affidandosi a tecnici ed esperti. Si era comunque detto favorevole a una diminuzione del controllo statale sul mercato, ma soprattutto a tentare la via della normalizzazione delle relazioni con l’Occidente, vera chiave di volta della possibile e potenziale ripresa economica, la quale contribuirebbe a far decollare un processo di pacificazione sociale, soprattutto nei confronti di quella parte di società iraniana, composta in prevalenza dalle giovani generazioni, che più ha sofferto della mancanza di opportunità e di crescita, così come è stata oggetto delle violente repressioni degli ultimi anni.

Per essere efficace a Teheran, la politica estera di Pezeshkian dovrà muoversi su un duplice binario, portando a sintesi le linee intraprese dai suoi due predecessori, Hassan Rohani, fautore dell’accordo sul nucleare che portò un riavvicinamento anche a Washington, e da Ebrahim Raisi, sostenitore di un rafforzamento delle relazioni verso la Cina e la Russia, della quale Teheran è diventato uno dei principali e indispensabili fornitori di droni utilizzati oggi sul fronte ucraino, promotore di un rinnovato impegno con l’America Latina, ma anche nei confronti del suo «estero vicino», con la storica riconciliazione con il suo rivale regionale, l’Arabia Saudita. L’apertura promessa sin dalle prime battute come nuovo Presidente, «tendendo la mano dell’amicizia a chiunque», potrebbe portare questa amministrazione a giocare un ruolo positivo sia all’interno che all’esterno del paese, partendo dalla considerazione che, contrariamente alle due precedenti stagioni riformiste che visse in passato l’Iran, con Khatami, del quale Pezeshkian fu Ministro della Salute, e Rouhani, questa avrà comunque l’impronta di un laico. Questi gli aspetti positivi.
Non mancheranno indubbiamente le difficoltà, tra le quali l’avere un Parlamento a maggioranza conservatrice, guidata dallo sconfitto Mohammad Bagher Qalibaf e, non ultimo, la grande incognita data dalle elezioni statunitensi. Qualora dovesse prevalere ancora Trump, l’eventuale volontà di apertura dell’Iran, che sarebbe positiva per il sistema internazionale poiché funzionale alla pacificazione del Medio Oriente, spingendo da un lato Hamas ad accettare le precondizioni negoziali con Israele, frenando dall’altro le velleità belliciste di Hezbollah in Libano potrebbe risultare vana. E rimettere tutto in discussione. Anche l’auspicata stagione riformista che inizierà il prossimo 5 agosto, con l’insediamento ufficiale di Pezeshkian e del suo nuovo governo.
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