Opinioni

Uccidere il padre abusante: violenza assistita, male invisibile

C’è urgenza di attivare una prevenzione precoce, efficace, che aiuti i bambini a proteggersi e educhi alle relazioni affettive
Lo stress continuo lascia segni profondi
Lo stress continuo lascia segni profondi
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Il caso del diciannovenne di Mezzolombardo in provincia di Trento che qualche giorno fa ha ucciso il padre, ha sconvolto la comunità locale e non, ma nello stesso tempo ha posto in evidenza il fenomeno complesso nel familicidio: dramma invisibile della violenza assistita.

Quello che è accaduto è stato l’ultimo atto di una tragedia familiare consumata negli anni e la denuncia di un dolore sommerso, forse inascoltato o non detto, di un giovane che ha conosciuto e subito il male nascosto della violenza a cui ha assistito. Ora tutti chiedono motivazioni che spieghino il perché ed emerge tardiva, la cecità dei tanti che non hanno visto pur potendo vedere o non hanno pensato cosa stesse accadendo nelle stanze ora insanguinate.

Dietro la realtà della violenza assistita, un male silente che travolge, ci sono sempre storie diverse e tormenti impossibili da narrare, stress infiniti che segnano in profondità le vittime a partire dalla donna ferita, perseguitata e umiliata, che dei minori impotenti che ogni volta sentono come un disastro imminente anche per un semplice urlo di quei genitori che dovrebbero amarli e invece si distruggono e devastano. Quelli più piccoli e indifesi, ad esempio credono di essere loro responsabili dello tsunami che attraversa i giorni e le notti, mandando in frantumi le certezze dell’infanzia.

Dietro al gesto finale ci sono dinamiche familiari perverse di abusi e maltrattamenti continui che sempre fanno danni fisici e psichici anche gravi, alimentano il disagio mentale e la disperazione. Più di tutto lascia segni profondi lo stress continuo che è come un’insistente sirena d’allarme attiva in guerra, che impone di scappare in un rifugio prima delle bombe.

Credo sia stato questo il vissuto di Bojan, il diciannovenne parricida trentino. Questa l’aria malsana che ha respirato per anni col fratello, divenuta alla fine insopportabile. Ma oltre a questo c’è che la maggior parte di noi ha scarsa consapevolezza di che cosa sia la violenza assistita, i vissuti di impotenza di chi è stato costretto ad assistere alle percosse e alle umiliazioni di una madre umiliata dal partner.

Ci avvolge una diffusa cultura della violenza, che minimizza o nega quella intrafamiliare e sottovaluta i danni psicologici e fisici di chi, solo assistendo, la subisce negli anni. Non intendo giustificare l’omicidio di un padre, ma nel furore che ha armato il braccio dell’adolescente trentino, forse c’era tutta la disperazione giovanile di chi ha perso la speranza di veder cambiare la sua situazione familiare. Certo c’è la mancanza di autocontrollo che in adolescenza si raggiunge tardi negli anni ma pure il non sapere che si può denunciare di maltrattamento e abusi un padre violento. Forse perché nessuno glielo ha mai detto.

Prendiamo atto di questa tragedia e sentiamoci tutti responsabili perché stiamo facendo poco per la violenza assistita che è drammaticamente in aumento. C’è urgenza di attivare una prevenzione precoce, efficace, che aiuti i bambini a proteggersi e educhi alle relazioni affettive. Ma poi che faccia crescere più attenzione in chi sta attorno, ovvero la scuola, i conoscenti, il vicinato.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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