Trump e le incognite nel negoziato per una pace in Ucraina

Fare previsioni sull’agire politico del presidente americano sembra sia impossibile: troppo impulsivo e erratico. I prossimi giorni saranno decisivi per comprendere se l’accordo sia volto a un rinnovato impegno statunitense nella difesa di Kiev
I presidenti Vladimir Putin, Donald Trump e Volodymyr Zelensky - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
I presidenti Vladimir Putin, Donald Trump e Volodymyr Zelensky - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Fare previsioni, con Donald Trump, è impossibile. Troppo erratico, impulsivo e, non di rado, dilettantesco il suo agire politico; troppe le capriole e le precipitose retromarce, ultima in ordine di tempo quella dei dazi alla Cina, dopo i pomposi annunci prontamente ritratti del famoso «liberation day» del 2 aprile scorso.

Difficile quindi capire se, come sembra, Trump stia in parte moderando la linea radicale, aggressiva e per certi aspetti neo-imperiale delle sue prime settimane di presidenza. Se stia davvero dando ascolto a quei membri della sua amministrazione, e a quei senatori del suo partito, che ad esempio sollecitano l’adozione di una posizione meno conciliatoria e accomodante verso la Russia.

Capiremo nei prossimi giorni se l’accordo con l’Ucraina sullo sfruttamento delle sue risorse naturali sia propedeutico a un rinnovato impegno statunitense nella difesa di Kiev; se a Istanbul ripartiranno negoziati meno sbilanciati a favore di Mosca di quelli che parvero contraddistinguere le settimane successive all’insediamento di Trump. Nell’impossibilità di fare qualsivoglia previsione, è nondimeno utile provare a capire come e perché si arrivi a questa nuova, possibile svolta negoziale: quali sono le condizioni che l’hanno resa possibile.

La prima è proprio il rigido atteggiamento russo. Di fronte a un’amministrazione statunitense che delineava i contorni generali di una pace altamente favorevole a Mosca – beneficiaria sulla carta di significative concessioni territoriali e della fine delle ambizioni ucraine di entrare nella Nato – Putin ha ulteriormente rilanciato.

Ha intensificato le azioni militari anche contro i civili; e ha rigettato qualsiasi proposta di un cessate il fuoco duraturo, condizione questa indispensabile al dialogo. Il presidente russo ha probabilmente pensato di poter capitalizzare sulle improvvise aperture statunitensi, ma ha forse finito per tirare troppo la corda, irritando Trump.

La seconda è stata il grande sforzo negoziale di Zelensky per ricucire i rapporti con gli Usa dopo il disastroso vertice alla Casa Bianca di fine febbraio. L’Ucraina ha compreso che l’inflessibilità negoziale non avrebbe pagato e che su alcuni punti – a partire dalla Crimea – la capitolazione era inevitabile. La sua maggior moderazione ha però esposto l’aggressiva inflessibilità di Putin evidenziando come fosse quest’ultima a costituire il principale ostacolo alla pace.

La terza e ultima condizione è stata l’attivismo del pezzo di Europa che davvero conta – Francia, Germania e Regno Unito. Che hanno in fondo risposto alle sollecitazioni di Washington per un maggior impegno europeo: nella difesa comune e nelle garanzie securitarie che si è disposti ad offrire a Kiev. Le quali non rappresentano la surroga di un’eventuale defezione statunitense – gli europei non hanno le capacità militari per sostituirsi agli Usa – ma il complemento di un impegno americano meno centrale e più defilato.

Basterà? I messaggi che giungono da Mosca non inducono all’ottimismo. Come non lo induce l’umorale volatilità del presidente statunitense. La cui politica estera sembra in fondo seguire poche stelle polari: l’interesse nazionale degli Stati Uniti, declinato in modo molto schematico e binario come riduzione degli impegni internazionali e degli aiuti esteri.

Soprattutto – e sempre più – il tornaconto economico suo, della sua famiglia e di alcuni gruppi statunitensi, come rivela anche il concomitante viaggio nel Golfo e i macroscopici conflitti d’interesse che esso espone, con il Qatar pronto a fargli dono di un aereo da 400 milioni di dollari, e capitali sauditi ed emiratini che già confluiscono copiosi nella nuova società di criptovalute dei Trump.

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