Telefonini a scuola sì o no?

Il cellulare non si dovrebbe affidare ai bambini delle elementari, e neppure a quelli delle medie, visto che l'accesso ai social e a molte applicazioni è (sarebbe) interdetto fino ai 14 anni. Dobbiamo però comprendere che la tecnologia non rimarrà fuori dalle aule
Continua il dibattito sui cellulari in classe © www.giornaledibrescia.it
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Più che agli alunni, il telefonino a scuola bisognerebbe proibirlo alle mamme. La battuta è dello psicologo Matteo Lancini, e non riguarda solo l'ultima circolare del ministro Giuseppe Valditara, che pure sul tema ha scatenato l'ennesima polemica. Come quasi sempre accade la questione è avvolta dalla confusione.

Che lo smartphone sia proibito in classe non è decisione di oggi, ma dal dicembre 2022, solo per citare la circolare precedente, con divieti in buona parte disattesi. Andrebbe anche aggiunto che il cellulare già non si dovrebbe affidare ai bambini delle elementari, e neppure a quelli delle medie, non solo a scuola, visto che l'accesso ai social e a molte applicazioni è (sarebbe) interdetto fino ai 14 anni. Il telefonino, invece, viene messo in mano anche ai bimbi di tre anni perché guardino i cartoni e se ne stiano un po' buoni. E si ha voglia di imporre norme sulla privacy se poi mamme e nonni immortalano in foto, postate e condivise, ogni «evento» della vita dei loro pargoli.

Il problema non è solo scolastico, ma assai più ampio. Non si esaurisce nel chiedersi: cellulari in classe, sì o no? Il ministro Valditara sostiene che il divieto dovrebbe essere applicato sempre, senza eccezioni, neppure per scopi didattici. Porta buone ragioni a sostegno della sua tesi, compreso un salutare ritorno alla scrittura a mano e in corsivo. Ragioni tuttavia suscettibili di evoluzione, nel contesto e nel tempo. Tanto per dire: se ministri dell'istruzione fossero Socrate e Platone, sarebbe vietato portare in aula libri quaderni e penne, perché i due padri della filosofia li riterrebbero fonte di distrazione e non adeguati allo sviluppo di una vera conoscenza che cresce nel dialogo orale. Così sostenevano ai loro tempi, poi è andata com'è andata e le loro tesi, per ironia della sorte, sono giunte a noi proprio grazie alla scrittura e ai libri.

Gli alunni torneranno a scrivere i compiti sul diario
Gli alunni torneranno a scrivere i compiti sul diario

Al di là delle battute, non dovremmo lasciarci abbagliare da posizioni fideistiche. Molte delle questioni che a noi sembrano di eccezionale modernità hanno una loro storia, neppure tanto recente, perché ignorarla? Il rapporto tra educazione e tecnologia, ad esempio, ha una elaborazione teorica di almeno sessant'anni. «L’educazione nell'età dell'elettronica» è il titolo di un saggio di Marshall McLuhan che risale al 1967. Il suo ragionamento si fonda su una convinzione precisa: «Le mura tra scuola e mondo si faranno sempre più sfumate». La scuola non riuscirà a lasciare fuori dalle aule quel che sta conquistando il mondo. Neppure gli smartphone, che sono diventati strumenti di vita quotidiana.

McLuhan aveva al centro della sua analisi la televisione, che Karl Popper, trent'anni dopo, considerava ancora «cattiva maestra». Cercava di analizzarne l'impatto educativo e di scoprirne la valenza pedagogica. E aveva ragione: oggi le aule sono dominate da video e lavagne interattive. Fare una distinzione che ammetta nelle aule pc e tablet, lasciando fuori i telefonini, non ha alcun fondamento tecnologico, e comunque sarebbe come cercare di fermare l'acqua a mani nude.

La circolare ministeriale, tuttavia, coglie il cuore della questione: come fare in modo che i nuovi supporti digitali non siano ulteriori occasioni di distrazione, abusi, isolamento, superficialità? Da sempre la sfida per la scuola sta proprio nel saper apprendere come maneggiare contenuti e strumenti. Appartiene alla curiosità dell'uomo l'attrazione verso marchingegni e meraviglie. Lo stupore e il timore che circondano l'Intelligenza artificiale ne sono solo l'ultima manifestazione. Neppure così nuova come potrebbe sembrare.

Spicca in questi giorni una «Robot story» (l'autore è Remo Guerrini) che illustra come i primi androidi meccanici appaiano addirittura nell'Iliade: Efesto forgia armi facendosi aiutare da «ancelle d'oro simili a giovinette» da lui stesso costruite. Nel medioevo si progettavano automi. All'Expo di New York del 1939 venne presentato Elektro, che sapeva parlare e aveva un cane meccanico. Certo, non era ancora come Atlas, fabbricato a Boston nel 2013, che faceva salti e capriole. Oggi c'è ChatGpt. Dall'epica al G7, da Omero a papa Francesco: l'onda non si fermerà.

Il confronto con tecnologia e macchine potrebbe persino offrire una buona occasione per riflettere su meccanismi meno meccanici dell'esistenza. Lo testimonia Federico Faggin, in un saggio fresco di stampa: «Oltre l'invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono» (Mondadori). Il padre dei microprocessori ci spiega che solo «se continuiamo a convincerci di essere macchine diventeremo macchine».

I calcoli non bastano a spiegare la realtà. Non batteremo le macchine con i numeri ma la nostra coscienza ci rende superiori. E la coscienza non nasce dalla materia. Non dobbiamo avere paura, né dei calcoli, né delle macchine, siano essi racchiusi nel supercervello artificiale Leonardo o nell'ultimo modello iPhone. Dentro e fuori le aule.

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