Dolore e domande nel suicidio che arriva dopo un suicidio
Riflessioni dopo il gesto estremo di una madre, che l’altra sera si è gettata sotto il treno a Rezzato, dove due anni fa morì, suicida, il figlio.
Decidere con un gesto definitivo di abbandonare la vita, quasi mai è una scelta deliberata. Difficile da capire e da accettare, il suicidio è un enigma e un percorso lungo di sofferenza, imprevedibile dove, non sempre, c’è la patologia mentale. «Il suicidio è un albero di Baobab», ha scritto lo psicologo Adriano Machado Facioli narrando la storia del fratello sucida e, indirettamente, anche la sua di sopravvissuto.
La metafora potente che ha usato è l’immagine forte di un baobab, l’albero dell’energia vitale e della resistenza, la pianta che più di ogni altra dà l’idea della forza con cui cresce anche in condizioni difficili. Quella pianta però può diventare mortifera e devastante, se si sviluppa incontrollata. Questo, a volte, è il risultato di un pensiero che devasta e si annida nella psiche profonda di chi ha perso, per suicidio, una persona cara, interrompendo un legame unico. Allora quel pensiero s’insinua subdolo e perverso e si radica in profondità dove la forza della trasformazione della sofferenza non arriva e diventa progetto e programma, obiettivo indicibile che non elabora il lutto e non muta il dolore intenso della perdita.
Questa è l’esperienza di chi ha vissuto la perdita di una persona cara e si è sentito privato del senso della vita, sopraffatto dalla solitudine. Chi arriva al suicidio dopo un suicidio, anche con tempi lunghi, di solito porta con sé una quantità indicibile di domande e un dolore interno acuto e persistente, misto a incredulità e rabbia, fatto di vergogna e di colpa. Frequente, anzi frequentissima è l’idea di sentirsi responsabile del male che si è annidato in chi si è tolto la vita. La responsabilità sta nel non aver saputo intercettare la sofferenza dietro quel gesto impensabile.
Nel suicidio, del resto, manca sempre un evento che possa spiegarne il motivo e faccia trasformare il dolore. Se l’elaborazione del lutto non si compie, non si esaurisce il vuoto che si è spalancato dentro. Invece andrebbe sempre espresso questo dolore, mostrato e non tenuto nascosto. Ma perché questo sia possibile c’è bisogno di qualcuno con cui condividere quel crogiolo di emozioni variegate che attraversano l’anima e solcano i pensieri infiniti della solitudine. Qualcuno che ascolti e non spieghi, che partecipi e non giudichi. Servirebbe di più, a fianco di chi attraversa il tunnel buio e sconfinato della perdita, non tanto la parola che consola, quanto la presenza silenziosa di chi è disposto ad accogliere con la sofferenza anche la confusione e l’ambivalenza dei sentimenti.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
