Opinioni

Sinner, sovranismo tennistico con residenza a Montecarlo

Gianluca Barca
Preso da un’isteria collettiva il pubblico gli sportivi li vuole perfetti, vincenti, vuole sapere tutto di loro, delle loro fidanzate, delle loro vite e non ammette delusioni. La stampa cavalca il fenomeno
Sinner ha vinto il torneo Six Kings in Arabia Saudita - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Sinner ha vinto il torneo Six Kings in Arabia Saudita - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Un sondaggio Swg pubblicato l’altro giorno dalla Gazzetta dello Sport mostrava che oltre il 60% degli italiani non ritiene giustificabile il rifiuto di Jannik Sinner a disputare la Coppa Davis. Per gli appassionati, rinunciare alla maglia azzurra è più grave che risiedere a Montecarlo dove i vip si trasferiscono per non pagare le tasse in Italia.

Il tifo, si sa, è un po’ come l’amore: obnubila i sensi. Pertanto poter sventolare il tricolore a Flushing Meadows, a Melbourne o altrove fa aggio su tutto il resto: abbiamo un campione, facciamogli ponti d’oro. Compreso quello di chiudere un occhio sul fatto di aver scelto come residenza un paradiso fiscale.

Ma se il campione tradisce le nostre aspettative di tifosi allora è giusto fargli il broncio perché lo sport è sovranismo allo stato puro. Sinner e De Cecco: fatti della stessa pasta: «Un viaggio unico tra eccellenza, passione e autentica tradizione italiana» recita il claim dello spot ormai diventato un tormentone in televisione. Pazienza se il giovane tennista si sente a casa più a Vienna che a Roma, l’amore è cieco, «no dai riproviamo».

Del resto c’è un altro spot che imperversa sui teleschermi: è quello di Ferrovie dello Stato, «Cosa ci rende davvero italiani?». Forse l’idea di non pagare le tasse, visto che protagonista di quel breve filmato che abbonda di retorica è un altro residente nel Principato di Monaco, il cantante lirico Andrea Bocelli, amico personale del ministro dei Trasporti Salvini.

Ora la differenza tra Bocelli e Sinner è che nessuno si sogna di fare il tifo per il primo, che può comportarsi come crede, compreso presentarsi a cavallo sul palco di Michelle Impossible and Friends, su Canale 5. Lo sport invece, per gli imperscrutabili sentieri della sua storia, fa dei protagonisti delle diverse discipline dei veri e propri eroi eponimi, kalòi kai agathòi, belli e buoni, lo dicevano i greci, ma era duemila anni fa.

Preso da un’isteria collettiva il pubblico gli sportivi li vuole perfetti, vincenti, vuole sapere tutto di loro, delle loro fidanzate, delle loro vite e non ammette delusioni. La stampa cavalca il fenomeno, distribuendo dosi massicce di oppio mediatico in salsa tricolore.

Non c’è giorno che Sinner non compaia sui giornali, sul web, alla televisione. Ogni sua vittoria è celebrata come quella di Vittorio Veneto. La conseguenza è che la sconfitta diventa un peccato grave, rifiutarsi di rappresentare l’Italia un tradimento, inciampare nelle proprie debolezze, come capitato al campione di Innichen (San Candido è il nome assegnatogli dopo l’annessione al Regno d’Italia, alla fine delle Prima Guerra Mondiale) un motivo di allarme generale.

Oggi Sinner appartiene all’unica categoria che conta davvero di questi tempi: quella dei «ricchi e vincenti», col Rolex al polso e la borsa di Gucci a tracolla. È ciò che gli italiani vorrebbero essere. Magari «Deo Juvante», con l’aiuto di Dio. Che è il motto del Principato di Monaco. Dove, dice un altro della ghenga, Flavio Briatore, i poveri non esistono, non li fanno neanche entrare. Gioco, partita, incontro. Viva l’Italia.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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