Se i parenti dicono stop alla guerra

I familiari degli ostaggi in mano ad Hamas si sono uniti alle proteste per le strade di Tel Aviv: nella storia sono diversi i casi in cui i parenti delle vittime hanno cambiato le sorti dei conflitti
Le proteste israeliane contro la guerra a Tel Aviv - Foto Ansa/Epa/Atef Safadi © www.giornaledibrescia.it
Le proteste israeliane contro la guerra a Tel Aviv - Foto Ansa/Epa/Atef Safadi © www.giornaledibrescia.it
AA

«Bring them home», «riportateli a casa». La frase, in inglese e in ebraico, ricorre sugli striscioni e nelle grida delle migliaia di manifestanti che da giorni affollano la sera le strade e le piazze principali di Tel Aviv per chiedere al governo Netanyahu di concludere il tanto atteso accordo per un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora in mano ad Hamas e alle milizie alleate.

Secondo l’intelligence israeliana sarebbero una sessantina quelli ancora vivi, 35 i cadaveri da recuperare. A guidare le proteste, tra le più grandi della storia recente dello Stato ebraico, sono i loro familiari. E forse è proprio la loro presenza a rendere il movimento particolarmente potente e quindi pericoloso agli occhi di Netanyahu, che in altre occasioni si è mostrato invece piuttosto indifferente al dissenso. La storia contemporanea, d’Israele e non solo, mostra infatti come i familiari di chi è coinvolto nei conflitti (che siano ostaggi, soldati mandati al fronte o vittime civili e militari) abbiano spesso giocato un ruolo di primo piano nei movimenti che chiedevano la cessazione delle ostilità.

Un caso emblematico è quello del movimento delle «quattro madri», nato alla fine degli anni Novanta su iniziativa di alcune donne israeliane i cui figli erano stati mandati a combattere nel sud del Libano nell’ambito dell’operazione «Pace in Galilea» e che chiedevano il ritiro delle truppe. Il Jerusalem Post l’ha definito «uno dei movimenti dal basso più efficaci della storia israeliana»: le cronache dell’epoca raccontano che l’attivismo delle donne nelle piazze e sui media ebbe un impatto determinante sull’opinione pubblica, contribuendo a portare la fetta di chi era in favore del disimpegno unilaterale israeliano dal 35 al 70 per cento. Tel Aviv ritirerà le truppe nel maggio del 2000, ponendo fine a 18 anni di occupazione che costò la vita a 1200 soldati israeliani e migliaia di libanesi tra civili e miliziani.

Trent’anni prima e a migliaia di chilometri di distanza, un ruolo simile lo giocarono i familiari dei soldati americani caduti prigionieri in Vietnam, uniti nella National League of Families of American Prisoners and Missing in Southeast Asia. Attraverso un’intensa attività di lobbying, ricerca e divulgazione di informazioni contribuirono a rompere il silenzio che il governo Nixon cercava di mantenere sull’andamento della guerra, rivelando all’opinione pubblica le condizioni di prigionia dei soldati catturati, fin ad allora tenute nascoste, e ottenendo la liberazione di alcuni.

Minor successo ebbero invece il movimento «Peaceful Tomorrows», formato da parenti delle vittime dell’attentato alle Torri Gemelle contrari all’intervento in Afghanistan, e il «Bring Them Home Now Tour», la protesta itinerante organizzata nel 2005 da decine di familiari di soldati caduti in Iraq che chiedevano il ritiro delle truppe Usa. Le due iniziative non portarono i frutti sperati, a dimostrazione del fatto che la legittimità di cui godono i familiari di vittime, ostaggi e soldati spesso non basta quando la maggior parte dell’opinione pubblica e la leadership politica vedono nel ricorso alle armi l’unica soluzione.

E questo è l’ostacolo con cui devono fare i conti anche i familiari degli ostaggi in mano ad Hamas: se tutti gli israeliani considerano prioritaria la loro liberazione, molti ritengono – come il premier Netanyahu – che gli obiettivi dell’offensiva non siano ancora stati raggiunti e che quindi la cessazione delle ostilità sia un prezzo troppo alto da pagare.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.