Referendum abrogativi, regole da riscrivere

L’istituto del referendum abrogativo sta tornando alla ribalta, soprattutto perché le opposizioni hanno raccolto le firme su cittadinanza, autonomia differenziata e Jobs Act. Se la Corte costituzionale dichiarerà l’ammissibilità dei quesiti, in primavera si voterà su temi di grande rilevanza sociale, ma sempre con la spada di Damocle del quorum.
Questo tipo di consultazioni non è valido, infatti, se non va alle urne almeno la metà più uno degli aventi diritto. Gli ostacoli principali che impediscono il successo di un’iniziativa referendaria sono due: la difficoltà di raccogliere 500.000 firme valide nei tempi prescritti e lo scoglio ancor più impervio del quorum del 50% più uno.
Da qualche tempo è però possibile aderire alla raccolta delle firme aggiungendo la propria autenticandosi - con Spid o Cie - all’apposita pagina https://pnri.firmereferendum.giustizia.it. In questo modo è stato più semplice raggiungere il quantitativo di firme per il referendum sulla cittadinanza. Di qui i tentativi di alcune parti politiche (c’è un’iniziativa del leghista Borghi per vietare l’adesione via internet) di bloccare questo canale, con la motivazione che i referendum si moltiplicherebbero all’infinito; in realtà, come replicano i difensori dell’istituto referendario, sul sito ci sono molti quesiti, ma le firme si concentrano solo su uno o due (già pubblicizzati in ambito nazionale e oggetto di raccolta firme anche nelle piazze).
In sintesi: il cittadino è in grado di scegliere, non clicca dovunque per autorizzare cinquanta referendum. Il problema vero non riguarda il canale o i canali di raccolta (che possono anche adeguarsi ai tempi, con buona pace di tutti) ma il numero delle firme richieste per ogni quesito. Già la relazione di maggioranza della Commissione bicamerale presieduta dal liberale Aldo Bozzi fra il 1983 e il 1985 propose di innalzare a 800.000 la quantità di adesioni, proprio perché la popolazione era aumentata rispetto al 1947 e perché una certa scrematura di quesiti andava comunque fatta, senza tuttavia impedire ai più seguiti e ai più importanti di arrivare al vaglio della Consulta e poi degli elettori.
Volendo adeguare le cinquecentomila firme del 1947 alla popolazione del momento, si può scegliere fra quella complessiva (aumentata fra il ’47 e il 1983 del 23,2% e fra il ’47 il 2024 del 28,4%) e il corpo elettorale, che dai 29 milioni e 117mila unità del 1948 è salito a 44 milioni e 526mila unità nel 1983 (+52,9%) e a 49 milioni e 552mila unità nel 2024 (+70,2%). È, a nostro avviso, meglio rapportare il numero minimo di firme alla «popolazione elettorale», che quindi sarebbe stato opportuno far passare da 500mila unità del 1947 a 764mila nel 1983 (ecco perché il progetto Bozzi proponeva di arrivare a 800mila) e oggi dovrebbero attestarsi sulle 851mila, solo per rispettare le proporzioni con l’Italia dei Padri costituenti.
Un numero di firme ragionevole, se si volesse intervenire sull’articolo 75 della Costituzione, sarebbe dunque intorno a 900mila; meglio ancora se si arrotondasse al milione (con la facoltà di raccoglierle anche telematicamente), perché si avrebbe la mobilitazione di una fetta ragguardevole del corpo elettorale, pari a poco più del 4% di chi è andato alle urne per le europee del 2024. Nel progetto Bozzi, inoltre, si prevedeva che la Corte costituzionale si esprimesse sulla legittimità del quesito referendario dopo la raccolta delle prime duecentomila adesioni, in modo da non sprecare tempo e fatica nel caso in cui la Consulta lo avesse bloccato. Anche questo è un aspetto che si potrebbe introdurre nell’articolo 75 della Costituzione. Tuttavia, si potrebbe pure intervenire sulla questione del quorum di validità del referendum.
Poiché negli ultimi venticinque anni si è preferito spostare la contesa (da parte di chi temeva di soccombere nell’urna) dai seggi all’affluenza, il «fronte del no» favorevole al mantenimento della legge ha spesso scelto di non andare a votare, unendo l’astensionismo volontario a quello fisiologico e facendo mancare il quorum.
Per smontare questo trucco si potrebbe introdurre due tipi di referendum abrogativi: il primo, se si raccolgono fra uno e due milioni di firme, col quorum (magari abbassato al 40% degli aventi diritto o al 50% più uno rispetto all’affluenza delle ultime elezioni politiche); il secondo, se le firme raccolte dovessero essere più di due milioni, si potrebbe svolgere senza quorum, quindi in una sfida nell’urna fra sì e no. In un tempo nel quale si prospettano grandi riforme, si potrebbe mettere in cantiere anche questa che forse è «piccola», ma molto significativa.
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