Il protezionismo come politica estera

Mercoledì 2 aprile entreranno in vigore i dazi verso l’Europa voluti dal presidente Usa Donald Trump, con conseguenze per l’economia continentale ma anche su quella statunitense
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump - Foto Patrick Semansky per Ansa/Ap © www.giornaledibrescia.it
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump - Foto Patrick Semansky per Ansa/Ap © www.giornaledibrescia.it
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Siamo ormai giunti a quello che Donald Trump ha pomposamente ribattezzato il «giorno della liberazione»: quel 2 aprile quando gli Stati Uniti imporranno tutte una nuova serie di dazi in aggiunta a quelli già adottati in queste prime settimane di presidenza. Non si sa però ancora con precisione quali beni saranno colpiti, con che modalità o se vi saranno esenzioni.

Prevale l’incertezza, insomma. Che può essere letta come deliberata, per massimizzare la pressione su alcuni paesi, o come espressione del dilettantismo e dell’approssimazione di questa amministrazione e del suo Presidente. Per Trump non vi sarebbe parola più bella di «dazi» (tariffs) nel dizionario della lingua inglese. Come si spiega un simile innamoramento del Presidente per questo strumento di azione politica? Quali cortocircuiti si potrebbero ingenerare? E con quali conseguenze per le economie europee ed italiane?

Nella visione trumpiana, i dazi assolvono a una serie di funzioni economiche, politiche e simboliche. Esprimono e sussumono la forza, senza pari, di un attore dell’ordine internazionale che può usare anche il suo mercato, e i suoi immensi consumi, come asset di potenza. Servono insomma per proiettare decisionismo e forza. Con l’obiettivo concreto di piegare ai propri voleri l’interlocutore di turno. Da tale prospettiva, hanno una funzione punitiva e finanche ricattatoria. Non vi è necessariamente una logica economica che ne motiva l’utilizzo o la minaccia.

I primi dazi - messi, revocati e poi in parte ripristinati - contro Messico e Canada servivano anche, se non primariamente, per obbligare i due vicini a modificare le loro politiche in materia di emigrazione, con controlli più stringenti e severi delle loro frontiere con gli Usa. Se ci spostiamo alla dimensione strettamente economica, i dazi possono assolvere tre altre funzioni strettamente interdipendenti, che Trump spesso sottolinea.

La prima è quella di modificare una asimmetria in virtù della quale gli Usa, anche per le dimensioni del loro mercato, subiscono una sorta di discriminazione tariffaria, in virtù della quale i prodotti che essi importano sono soggetti a tariffe minori rispetto a quelli che esportano. La seconda è di correggere macroscopici squilibri commerciali, evidenziati dagli alti deficit degli Stati Uniti con numerosi partner, dalla Cina al Messico sino all’Unione Europea. La terza e ultima è di costituire strumenti al servizio di progetti di reindustrializzazione del paese necessari, si afferma, per riacquisire sovranità e autonomia, emancipandosi dalla dipendenza di catene di valore globali nelle quali altri soggetti hanno un ruolo centrale.

L’Europa, e con essa l’Italia, sono bersagli primari di questa azione. Ricadono in una certa misura in tutti gli ambiti di azione dei dazi che abbiamo appena menzionato. È, l’Unione Europea, rivale da sanzionare anche per costringerla ad abbandonare politiche - su tutte quelle relative alla regolamentazione del big tech statunitense - invise a questa amministrazione. Hanno, Europa e Italia, ampi attivi commerciali con gli Usa solo in parte compensati dalla loro importazione di servizi statunitensi.

Washington, infine, ritiene che tutto ciò sia il prodotto di forme di concorrenza sleale, frutto di asimmetrie tariffarie ovvero della onerosa protezione securitaria di cui l’Europa gode da decenni grazie agli Stati Uniti. Scopriremo nelle settimane a venire quali saranno gli effetti di questi dazi, anche se le turbolenze borsistiche di questi giorni sono di loro già molto indicative. E scopriremo anche quale sarà il prezzo di consenso e, in prospettiva, elettorale per Trump e i repubblicani di fronte alla quasi certa crescita dei prezzi negli Usa e a una possibile contrazione economica.

Per le tante aziende italiane (e bresciane) legate direttamente o indirettamente al mercato statunitense, il costo potrebbe essere a sua volta pesante. Oltre che rivelatore di quanto illusorio sia pensare che il presunto rapporto speciale tra l’amministrazione Trump e il nostro attuale governo possa proteggerci o che esista altra strada oggi che non sia quella della collaborazione europea.

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