Politica al bivio tra la riforma giustizia e le prospettive referendarie

La riforma della giustizia ottiene il doppio e definitivo via libera parlamentare ed già è partita la battaglia dei comitati del sì e del no per il referendum confermativo: la riforma non ha ottenuto i due terzi dei consensi, che la avrebbero blindata. Si ipotizza che la chiamata alle urne si terrà nel prossimo marzo-aprile. Un confronto che tutti auspicano nel merito, ma che si configura aspro e reciprocamente delegittimante. Il dossier giustizia è pieno di letture contrapposte, ultima in ordine di tempo la bocciatura da parte della Corte dei Conti del progetto del Ponte dello Stretto voluto dal Governo Meloni.
Andiamo in ordine di tempo nelle scadenze che si rincorrono. Il 23 e 24 novembre si terranno le elezioni regionali in Veneto, Campania, Puglia. Apparentemente non hanno nulla a che vedere con lo scontro sulla giustizia, ma sanciranno il potere decisionale dei maggiorenti. La maggioranza di Governo, ad esempio, sostiene che il recente voto regionale in Calabria ha significato un sì popolare al Ponte sullo Stretto. La posta in gioco, a fine novembre, si misurerà sulla tenuta interna dei due maggiori schieramenti.
La composizione effettiva, sui diversi territori, del campo largo. Con le concorrenzialità tra Conte, che guarda a Palazzo Chigi, e Schlein e tra la leader del Pd e i suoi «amici» interni, che spingono per una diversa politica nazionale. I rapporti concorrenti tra Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia per le candidature del destra-centro e il peso in coalizione da assegnare a ciascuno. Il tutto in funzione dei posizionamenti per le future elezioni politiche.
Oggi, con l’approvazione in quarta e ultima lettura della riforma costituzionale della giustizia, compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini.
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) October 30, 2025
Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani.… pic.twitter.com/EHWvcCiVIX
Le firme per il referendum, sulla legge che introduce in Costituzione la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti ed istituisce due Csm, verranno raccolte sia tra chi ha votato no e quanti si sono espressi a favore. Per evitare che solo il campo del no abbia voce in capitolo. Anche perché tra gli oppositori non manca chi ritiene che una vittoria del no suonerebbe sconfessione diretta della Meloni e comporterebbe una sua delegittimazione a presiedere il Governo, come accadde a Renzi.
Per questo l’Associazione nazionale magistrati, che è contraria alla nuova legge, viene invitata a non confondersi con le opposizioni e portare avanti una battaglia di merito. Riforma che il Governo contesta sia pericolosa per la democrazia. Piuttosto conseguente alla adozione, decenni fa, del processo accusatorio sostitutivo di quello inquisitorio. In ragione di tutto ciò, la riforma, ebbe, nel tempo trascorso, il sostegno anche di dirigenti del Pd. Oggi l’opposizione sarebbe tutta di mero posizionamento politico.
La campagna sarà dura perché si ritiene che ciascun schieramento sia necessitato a portare al seggio il maggior numero dei rispettivi attuali sostenitori. Le terze linee sarebbero propense a chiamarsi fuori, non riconoscendovi un valore determinante. Resta lo scollamento tra politica governante e magistratura giudicante. L’esito del referendum non sarà neutrale rispetto al prolungato scontro, che si rinnova ad ogni decisione che chiami in causa i poteri degli uni o degli altri.
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