Fine del pluraslismo in Mali: i militari aboliscono i partiti

«Vogliamo preservare l’ordine pubblico perché siamo in un processo di riforma»: con questa motivazione il governo militare golpista del Mali, durante il Consiglio straordinario dei ministri del 13 maggio, ha varato un decreto presidenziale con il quale ha sciolto tutti i partiti e le organizzazioni politiche sull’intero territorio nazionale. Il decreto offre una sorta di contentino: «I funzionari che lavorano per le istituzioni politiche e amministrative dello Stato possono continuare a svolgere il loro lavoro, senza identificarsi come rappresentanti di partiti politici».
Si tratta dell’ultimo atto di un graduale ridimensionamento dell’opposizione. Prima misure coercitive, poi la sospensione delle attività, quindi, a fine aprile, un forum nazionale di consultazione durante il quale era stata abrogata «in tutte le sue disposizioni la Carta dei partiti politici» risalente all’agosto 2005, inasprite le condizioni per la nascita di altre organizzazioni o movimenti politici e vietato il finanziamento pubblico. Nell’occasione era stato anche «raccomandato» di proclamare presidente il generale Assimi Goïta (fino ad allora presidente ad interim), che rimarrebbe così alla guida del Paese fino al 2030, con un mandato rinnovabile per ulteriori cinque anni. Paradossalmente, ora tocca a lui accettare o meno. Era arrivato al potere con un colpo di Stato nel 2020 mettendo fine al mandato dell’ultimo presidente eletto, Ibrahim Boubacar Keïta; da responsabile della sicurezza, l’anno successivo, con un secondo colpo di Stato sostenuto dalla Russia, aveva preso la guida del Paese. Se accetterà la presidenza senza elezioni, già più volte rimandate, non gli sarà più possibile celare la svolta dittatoriale.
Per questo, una coalizione di cento partiti dell’opposizione ai primi di maggio aveva organizzato una manifestazione senza precedenti davanti al Palazzo della Cultura nella capitale Bamako, al grido di «Viva la democrazia, abbasso la dittatura», chiedendo di mantenere la promessa della caduta del regime militare entro il 31 dicembre 2025 per un ritorno all’ordine costituzionale. Ma, come sempre accade quando ci sono proteste civili, l’esercito ha risposto bloccando ogni dissenso. Altre dimostrazioni erano state indette per il 9 maggio ma, temendo nuove violenze, gli organizzatori hanno preferito rimandare a data da destinarsi.
L’organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha denunciato la sparizione di diversi leader dei partiti di opposizione, tra cui Abba Alhassane di «Convergenza per lo sviluppo del Mali (CODEM)» ed El Bachir Thiam, di «Yelema (Cambiamento)». Il canale televisivo francese TV5 Monde è stato sospeso fino a nuovo ordine per aver dato voce alle manifestazioni. In precedenza erano state bandite dal Paese France 24 e Radio France Internationale (RFI). La stretta sull’informazione è generale, ma balza comunque all’occhio come siano le testate francesi a farne soprattutto le spese, altro modo per rimarcare la distanza con l’ex potenza coloniale. Mentre si intensificano i rapporti con la Russia, anche in funzione anti-jihadista.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
