Papa Francesco segue la strada di Giovanni Paolo II

Papa Francesco, dopo 38 giorni di degenza, ha lasciato il Policlinico Gemelli. È tornato in Vaticano, a Casa Santa Marta, per una lunga convalescenza assistita – si parla di un paio di mesi – che si strutturerà come una inedita stagione del suo pontificato, che vuole continuare ad interpretare attivamente. Non era dato per scontato.
I medici hanno confermato che in due circostanze si è temuto per la sua stessa vita. Aggiungono che la qualità della ripresa va monitorata quotidianamente e che Bergoglio va frenato nei suoi «impulsi interventivi». Il Papa della comunicazione vede messa in forse questa sua peculiarità fino a far dire – circostanza da lui smentita – che avrebbe valutato l’eventualità delle dimissioni, per impossibilità fisica ad esercitare il ministero ricevuto. Si tratterebbe della seconda volta, in successione temporale, dopo quelle di Benedetto XVI. Nell’anno giubilare, da lui fortemente voluto, e nel periodo pasquale, tempo forte della cattolicità.

Mentre la sera, in piazza San Pietro, si recitava il rosario per invocare la sua guarigione, in molti abbiamo pensato che era un modo per prepararsi al commiato definitivo. Un sentimento di umano rincrescimento per la persona, che si abbinava al disagio per il venir meno di un sicuro riferimento nel complicato quadro mondiale.
Cambiare il Papa cosa comportava nel modo di testimoniare ed esercitare la presenza della Chiesa cattolica? Quali tempi di rodaggio avrebbe richiesto il cammino apostolico del successore?
Quesiti civici, che appartengono alla dimensione anche civile di un papato. Le diverse personalità imprimono ciascuna una propria impronta caratterizzante. Di Papa Francesco si è scritto che ha preparato, con le nomine cardinalizie mirate, una successione in continuità operativa, fatto salvo il primato della Provvidenza a cui guardano i fedeli. Le circostanze storiche, al momento delle scelte concretamente da compiere, producono i loro effetti pratici.
Un Papa concentrato sul «dentro» e sulla trasmissione della fede traballante in molti ambiti della cristianità? Preferibilmente «spalancato» sul mondo esterno, che lo interpella sulla quotidianità del vivere dove gioca la sua partita di fede?
I poteri mondiali, ancor più quando sono in grande movimento interno ed internazionale, non possono ignorare parole e gesti di un tale protagonista della scena universale. Anzi, sono intenzionati a condizionarlo a loro favore.
Pensiamo cosa significò e comportò per il mondo sovietico l’elezione del polacco Giovanni Paolo II, compreso l’attentato per togliergli la vita. Insomma, il cambio di un Papa suscita attese, preoccupazioni, interessi di vario genere.

Papa Francesco fermo in campo significa che continua l’azione della sua squadra di riferimento e la possibilità di intervenire personalmente, magari attraverso messaggi scritti che confermino, integrino, correggano interpretazioni terze.
Non potrebbe essere un Papa che si chiama fuori, che resta in panchina. Per questo è davvero altamente improbabile che si affidi alle dimissioni. Piuttosto, come fece Giovanni Paolo II, sarà interprete di un papato esercitato nonostante i limiti della malattia.
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