Manovra e consenso: la linea sottile tra realtà e racconto

Con le lenti delle politiche comunicative, possiamo valutare sia l’efficacia «commerciale» di quello che ci viene comunicato, sia il modo attraverso il quale le scelte politiche rappresentano la realizzazione di promesse o di linee guida strategiche
Salvini, Meloni, Tajani e Giorgetti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Salvini, Meloni, Tajani e Giorgetti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Varata la Manovra possiamo leggerla attraverso il filtro della comunicazione e delle logiche di marketing. Con le lenti delle politiche comunicative, possiamo valutare sia l’efficacia «commerciale» di quello che ci viene comunicato, sia il modo attraverso il quale le scelte politiche rappresentano, oggettivamente, la realizzazione di promesse o di linee guida strategiche. Come per tutti i mercati vanno confrontati i flussi comunicativi dei competitor in campo politico: maggioranza e opposizione.

Qui si nota come maggioranza e opposizione abbiano stili e modalità comunicative completamente diverse. La maggioranza appare compatta nell’usare stile ed enfasi comunicativa, lasciando che ogni componente della coalizione possa puntare su un argomento che fa parte della propria strumentazione ideologica, enfatizzando positivamente la volontà/capacità di realizzare promesse elettorali. Così Salvini si dice soddisfatto per la rottamazione, Meloni per la riduzione delle tasse e Tajani per aver salvaguardato le banche.

Da parte dell’opposizione, invece, la storica incapacità di muoversi unitariamente, fa sì che non esista una strategia comunicativa comune e che all’interno delle stesse forze di minoranza i messaggi siano addirittura diversi. C’è poi da sottolineare che chi ha il potere governativo sottolineando il «fare» ha la possibilità di rendere evidenti azioni positive, viceversa, chi si siede degli scanni dell’opposizione deve orientare la propria politica comunicativa o verso critiche, quindi negatività, o verso proposte, quindi «teoriche» idee di cambiamento.

La divisione che caratterizza la minoranza fa sì che si esasperino le critiche, quindi un approccio negativo, e si presentino proposte in ordine sparso e deboli dal punto di vista comunicativo. Venendo alla maggioranza la politica comunicativa comune (con una buona regia come avviene in tutte le imprese che sanno comunicare) può però scontrarsi con il rischio legato all’esasperato enfatizzare la leva positiva se questa non trova riscontro nella vita quotidiana dei cittadini.

Si può certamente gioire per la scelta di ridurre di due punti di percentuale la pressione fiscale sulla maggior parte dei redditi da lavoro. Però se l’erosione della busta paga rende difficile mantenere uno standard di vita simile a quello del passato, quel 2% (tradotto per molti in euro 10-20 al mese) rischia di diventare un elemento di forte critica verso chi, avendo promesso grandi cambiamenti, finisce con apparire come millantatore (la promessa sulla detassazione della tredicesima). Lo stesso vale se chi le tasse continua a pagarle vede, nella sostanza, che la pressione fiscale complessiva è aumentata (dal 41,4 al 42,6%) con il Governo Meloni.

La presidente del Consiglio Meloni e il ministro dell’Economia Giorgetti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La presidente del Consiglio Meloni e il ministro dell’Economia Giorgetti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Chi è «obbligato» a pagare le tasse può iniziare a trovare elementi di malumore verso i «premi» che continuano ad essere erogati per chi le tasse non le paga. Sempre provando ad immaginare l’effetto boomerang dell’eccessiva comunicazione positiva, possiamo ipotizzare quali potrebbero essere gli effetti del tanto decantato successo legato alla volontarietà, non obbligatorietà, del contributo degli istituti di credito. Se, per qualche motivo le banche dovessero autogiustificarsi nel ridurre «volontariamente» il flusso, e se a questo dovesse associarsi, ad esempio, un’incapacità dei ministeri di provvedere a quei tagli indispensabili per garantire l’equilibrio della manovra, è abbastanza evidente che correttivi in corsa susciteranno elementi di diffidenza nei confronti di una comunicazione troppo orientata all’autocelebrazione.

È ciò che succede con riferimento al lavoro dove l’enfasi data sull’aumento degli occupati (nata, per la verità, da una sorta di trucco statistico ben evidenziato dall’Istat), si scontra, con la carenza di lavoro (non solo giovanile), e con remunerazioni (soprattutto per i giovani), non adeguate. Va poi sottolineato che la manovra sembra ignorare l’effetto del Pnrr sui flussi in entrata e in uscita (il cashflow). Il fatto che il debito pubblico degli ultimi anni sia aumentato di 300 miliardi è stato «ammortizzato» oltre che da una situazione macroeconomica che ha portato a una riduzione dei tassi di interesse, anche dall’effetto generato dai flussi del Pnrr che hanno garantito il pagamento degli interessi e delle rate del debito. Nel momento in cui, per qualche motivo, le condizioni macroeconomiche o semplicemente i tassi dovessero mutare, il rischio legato al fatto che i flussi del Pnrr stanno per scadere, potrebbe, rapidamente, portare il governo nella situazione (scarsa cassa) che fece cadere Berlusconi.

Non tutto è roseo e comunicare in modo eccessivamente positivo potrebbe ritorcersi verso chi attua questa politica comunicativa. Il vantaggio del governo di potersi misurare con un’opposizione scarsamente orientata alla comunicazione efficace fa sì che, di fronte a un’oggettivizzazione delle difficoltà appena accennate, la politica governativa potrebbe agire rappresentando il quadro in modo più realistico di quanto oggi venga raccontato. Il vantaggio di essere coesi e di avere esperienza comunicativa comune giocherebbe a favore di questa scelta.

Rimane però il fatto che nel positivo è facile per chi deve coltivare la propria base elettorale enfatizzare le proprie coerenze, mentre nel momento in cui si dovessero prospettare periodi diversi, la difficoltà a gestire la comunicazione potrebbe generare un’implosione tra le forze politiche. Per il Paese servirebbe comunicare al «mercato» della politica e degli elettori, riducendo un po’ l’enfasi del «venditore» orientato al breve. Nel lungo periodo aumentare la capacità di comunicare al proprio «cliente» anche elementi non positivi, creerebbe sicuramente maggiore fidelizzazione nel consumatore-elettore.

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