L’Occidente è in bilico: declino o speranza?

Mai come oggi si è tornati a parlare di tramonto dell’Occidente. Viene alla mente il saggio del 1918 di Oswald Spengler, con cui l’autore scatenava una controversia nella quale intervenivano i maggiori protagonisti dell’intelligencija del tempo, da Thomas Mann a Robert Musil, da Friedrich Meineke a Benedetto Croce. L’Europa non è più al centro del mondo e sconta una egemonia in declino a tutti i livelli – culturale, politico, militare, economico – dovuta allo sviluppo di una fase discendente di una civiltà ormai fatta di «anime sorde e cieche». Questa la tesi di Spengler.
Quali sarebbero invece oggi i segni di un nuovo tramonto letto nei termini di una sconfitta, come la definisce Emmanuel Todd, lo storico francese che alla metà degli anni Settanta aveva predetto la «decomposizione della sfera sovietica» e previsto agli inizi del nuovo secolo quella del sistema americano? Sarebbero la progressiva trasformazione delle democrazie in oligarchie, l’affermazione di un nichilismo individualistico che soppianta parimenti etica religiosa e laica, il crollo demografico in corso, bassi livelli d’istruzione di massa, nonché una caduta della produzione manifatturiera nonostante gli investimenti in campo militare.
Soprattutto la scarsa fiducia e considerazione di sé, l’attitudine della cultura occidentale all’autocritica, la sua subalternità alla logica dominante che tende alla colpevolizzazione, nonché la disposizione ad assumere il punto di vista delle vittime che l’Occidente avrebbe prodotto. E tutto questo in modo ossessivo, tale da impedire il riconoscimento di indubbie conquiste di civiltà e di progresso. Non solo una lettura fuorviante del passato, ma pure l’assenza di fiducia e di ottimismo, il cedimento alla rassegnazione a fronte di una decadenza annunciata.
Secondo Lucio Caracciolo, in parallelo alla crisi del modello americano, la discesa «verso il basso, forse domani verso il nulla della fase occidentale della storia umana». Taluni interpreti propongono diagnosi altrettanto sconfortanti: un alto grado di segmentazione sociale, il venir meno della obbligazione rispetto a norme condivise, la distanza tra élites e popolo, aspettative sempre più smentite, la corrosione dei principi liberal-democratici accompagnata a nostalgie identitarie e a pulsioni autoritarie. Insomma l’incapacità di pensare e progettare il futuro. Punti di vista tra loro coincidenti, in altri casi dissonanti a seconda degli osservatori. Nel complesso però un quadro pessimistico che non lascia intravedere uscite di sicurezza o prospettive di rilancio.
Recentemente ci ha provato Federico Rampini, pronunciando un suo «grazie» all’Occidente, per l’esportazione del progresso, per le conquiste in campo scientifico, per l’affermazione dei diritti civili altrove conculcati, per i livelli di vita raggiunti, per lo sviluppo industriale e una produzione di beni che ha sollevato dalla miseria intere nazioni, per la «rivoluzione verde» in grado di contrastare persino l’inquinamento causato.
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— Federico Rampini (@FedericoRampini) September 10, 2024
Come scrive, «per tutto il bene che abbiamo fatto noi occidentali e che dovrebbe spingerci a reagire al suicidio in corso», al conformismo proprio di una cultura del piagnisteo succube di una visione menzognera della storia, secondo la quale avremmo causato «sofferenze, oppressione e distruzione».
Che dire? Da un lato apocalittici, dall’altro integrati, accomunati da una cultura dell’eccesso che tende al paradossale, enfatizzando da un lato una crisi certamente in atto, e dall’altro propensi ad una autoassoluzione deresponsabilizzante. Solo un’idea non lineare della storia, per quanto concerne il passato e una visione non assertiva del presente e del futuro che ci attende, possono probabilmente restituirci una raffigurazione adeguata di che cosa sia oggi l’Occidente, nonché disporci a raccogliere le sfide del nostro tempo in modo consapevole, senza illusioni, ma pure abilitati ad assumere quello che Romano Prodi e Massimo Giannini in un loro recente libro definiscono «il dovere della speranza».
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