L’Intelligenza artificiale minaccia il sogno di internet

Cosa ci attende dopo il crollo della Torre di Babele? Se lo chiede in un saggio fresco di stampa Paolo Benanti, teologo che quest’anno ha unito il ruolo di consulente di papa Francesco a quello di presidente della commissione per l’Intelligenza artificiale voluta dal Governo e di unico italiano a far parte della commissione dell’Onu sull’AI. Ma davvero siamo di fronte – come dice il titolo – a «Il crollo di Babele»? Probabilmente sì, e proprio in questi mesi si registrano i segnali più vistosi. La più larga delle crepe si sta aprendo fra le due sponde dell’Atlantico, con gli Usa del duo Trump-Musk che vanno da una parte e l’Ue che si muove nella direzione opposta.
Il contrasto mette in crisi le democrazie secondo l’impostazione occidentale e dà ragione a Cina, Russia, India e quella parte di mondo ormai orientata verso un misto di oligarchie e autocrazia. È la fine del sogno di Internet? Il Selvaggio Web aveva origini belliche (ricordate Alan Turing?) ma con l’introduzione dei transistor al silicio, i computer erano diventati piccoli, affidabili e di crescente diffusione. Con i microprocessori, poi, la potenza di calcolo è diventata a portata di mano per tutti, o quasi. Era la Bit generation, che sull’anarchia della Silicon Valley (e per vicinanza, erede dei Figli dei fiori) s’era creata l’ideale della democrazia diretta, dell’uno vale uno.
Più fredda e meno idealista l’ondata arrivata da Seattle, che con Bill Gates e Microsoft ha posto le basi della centralità della tecnologia. Da essa dipendono – questa la convinzione – il futuro delle nostre società, il benessere, ma soprattutto l’affermazione personale e di potere. Si è fatta strada così un’impostazione computazionale della nostra stessa esistenza. Ogni scelta si calcola e alla fine decide l’algoritmo. Tutto è accaduto nei primi due decenni del Duemila: la costruzione con Internet e smartphone di una torre globale, una nuova Babele, e poi l’inizio del suo traballare con l’avvento delle grandi piattaforme e la loro essenziale necessità di monetizzare i dati degli utenti, per fare affari. Il resto è venuto di conseguenza. L’intelligenza artificiale moltiplica esponenzialmente potenzialità e rischi.
Ora siamo ad un passaggio nevralgico. Molti sono i fronti aperti. A cominciare da quello energetico, perché l’intelligenza artificiale in particolare e la crescita tecnologica in generale sono assai energivore e non è un caso che pressioni a favore del nucleare vengano da parte di Amazon e Google, e non solo. Per continuare con la guerra dei chip che vede contrapposti Usa e Cina e la conquista delle terre rare che sconvolge l’Africa. Poi ci sono le sfide che vedono in corsa qualche bel nome italiano: quella sui datacenter con Enel, quella sui supercomputer con Eni e Leonardo. Nell’elenco potremmo mettere finanza, monete digitali e criptovalute. Finché accade che uno scavatore trancia un cavo in Svizzera e si bloccano bancomat e carte di credito in Italia. È l’eterogenesi dei fini. Sostiene Luciano Floridi, filosofo teorizzatore dell’infosfera, che l’analogico torna con potenza nell’azione dei Governi e degli Stati «che non riescono a controllare il digitale e provano a mettere al sicuro le infrastrutture, le aziende e le materie prime con barriere e confini». Non è immaginabile nulla di più analogico dei dazi minacciati da Trump.
Ed eccoci al bivio. Da una parte l’Unione europea che sta emergendo dopo le recenti elezioni e sembra intenzionata ad assecondare le proposte di Mario Draghi, quindi a procedere con maggior cautela sul fronte delle regole per non legarsi le mani. Ma va anche detto che l’Ue ha già messo in campo un bell’apparato di norme e atti, e che sul fronte dei diritti e dei valori non intende recedere. Semmai si muove per allargare il campo, nella consapevolezza che per fenomeni globali servono adesioni internazionali. Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti, che già in passato erano restii a normare il settore tecnologico, come dimostrano le incerte sorti delle imposizioni a Microsoft e Google, accusati di monopolio e posizione dominante. Comunque gli Usa sono intenzionati ad intervenire solo su questioni di libero mercato e non per altro.
The United States has been mobilizing a global response to address both the perils and opportunities of artificial intelligence. Together with our partners, we’ve developed a global consensus for AI, and now we’re building upon it. pic.twitter.com/Upgg1uqFl5
— Department of State (@StateDept) December 23, 2024
Ora poi si assiste all’accorrere di tutti i Signori del web, da Jeff Bezos a Mark Zuckerberg, verso la corte di Mar-a-Lago per non restare esclusi dal patto Trump-Musk. Quindi da una parte dell’Atlantico si immaginano regole universali, sull’altra sponda la totale deregulation. Intanto Trump ha nominato a capo dell’Agenzia delle telecomunicazioni Brendan Carr, che ha già annunciato di voler combattere quello che lui chiama «il cartello delle censure». Tutti liberi di fare e dire qualsiasi cosa sulle piattaforme web. Sarà difficile trovare intese. Ancor di più perché gli altri attori sulla scena internazionale sono preoccupati solo di poter controllare i giochi in casa propria, con l’intenzione di agire surrettiziamente in casa altrui. I russi in questo sono maestri, ma anche i cinesi e gli indiani quando possono… Sì, si stanno allargando le crepe nella Torre di Babele dell’infosfera. Soprattutto quella fra algoretica e algocrazia, fra valore e potere.
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