Il corpo che parla: la grammatica silenziosa dell’essere

«Il corpo è il vero luogo della scrittura». Amelie Nothomb. Il corpo è linguaggio. Un linguaggio (spesso inascoltato e indecifrabile) che si fa carne. Ciò che viviamo, pensiamo, proviamo, nascondiamo, tutto, ci «parla» attraverso di lui e lui ce lo restituisce con la sua grammatica fatta di tensioni muscolari, tremori improvvisi, espressioni del volto, toni acuti o sussurrati della voce, malattie. Il corpo è la nostra personale «bocca della verità».
Diciamo: «Va tutto alla grande!» ma le spalle ci tradiscono. Sorridiamo ma gli occhi sono tristi. Il dolore ci smorza il respiro, la gabbia toracica ci comprime, la paura rende molli le gambe, la voglia di fuggire ci fa scalpitare. Lo sappiamo bene, noi mediatori che, nella stanza, dobbiamo prestare attenzione alle manifestazioni corporee forse più di quel che vien detto.

La prima codifica occidentale del linguaggio emotivo del corpo la dobbiamo a Wilhelm Reich, allievo di Freud il quale improvvisamente notò che durante la terapia alcuni pazienti smettevano di respirare o contraevano i muscoli per non mostrarsi vulnerabili. Trattata la parte del corpo contratta, emozioni e ricordi profondi riemergevano, si ristabiliva l’unità, aumentava visibilmente l’energia ed arrivava la guarigione.
Dal verbale al non verbale
Alexander Lowen, suo allievo, ebbe l’intuizione di creare esercizi specifici per favorire questa liberazione (e la conseguente risposta emotiva) consegnandoci la Terapia Bioenergetica. Una pratica che in qualche modo ci libera dalla fatica di andar cercando le cause di traumi e disagi semplicemente facendo parlare il corpo che è la nostra più sincera biografia. In ogni tensione muscolare vive una parola non detta (forse, neppure pensata). In ogni respiro corto qualche pagina strappata, in ogni contrattura qualche tentativo d’amore abortito.
Il corpo che trema senza chiederci il permesso, non si sta spezzando si sta aprendo per portare alla luce qualcosa di utile. Pelle, muscoli, respiro sono trascrizioni del nostro vissuto. Ogni contrattura un verbo congelato, ogni tremore un verbo nuovo. Ogni lacrima una parola che chiedeva audizione. Un linguaggio che ci cambia. Riaffiorano parti bambine, ricordi soffocati, paure inghiottite. La memoria da archivio storico ammuffito diventa onda di energia viva che libera e trasforma.
«In» ed «Es»: memoria, perdita, ritorno, il mantra circolare del respiro, del pneuma. È quindi solo grazie al nostro corpo, teatro del trauma e delle emozioni più vere, attraverso la grammatica dell’essere (che si aggiorna con il dipanarsi della nostra vita) che possiamo veramente conoscerci. Lowen ci ricorda però che l’energia, per tornare a fluire, ha bisogno di sicurezza. E la sicurezza nasce dalla relazione, dalla possibilità di sentire che il proprio corpo, la propria voce, esiste nello spazio dell’altro, un altro che ci capisce senza domande, senza giudizio, senza nascondimenti o atteggiamenti protettivi: il terapeuta, il mediatore. Ponti tra corpo e verità, fra tremori e stupori per dirla alla Nothomb nello spazio magico in cui l’energia diventa incontro e l’incontro diventa guarigione.
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