L’industria italiana ha bisogno di un cambio di rotta economico

La tregua in Medio Oriente, l’inizio della nuova presidenza americana e le tensioni geopolitiche globali: come lo scenario mondiale impatta l’economia del Paese
Euro e dollari - Foto Unsplash
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Il 20 gennaio 2025 sarà ricordato per una tregua poi sfociante, seppur in un cammino irto di difficoltà, in una futura pace in Medio Oriente oppure per l’ennesimo tentativo fallito? Sarà questo stesso giorno rievocato come l’inizio di una presidenza americana che, pur all’interno di un percorso imprevedibile ed incerto, potrà garantire una pace nel mondo intero?

E ancora: la nuova Amministrazione garantirà relazioni soddisfacenti con altri Paesi – sia «nemici» che presunti «amici» quali i Paesi europei (per gli ottimisti proprio l’Italia potrebbe svolgere in questo caso un ruolo di cerniera) – oppure sarà l’origine di nuove tensioni geopolitiche globali?

L’ovvio auspicio è che si realizzi il primo scenario in entrambi i casi (al di là della sua plausibilità); peraltro l’economia mondiale pare risentire solo in parte del contesto di incertezza. Il Pil mondiale dovrebbe crescere – secondo l’aggiornamento del «World Economic Outlook» del Fondo monetario internazionale (Fmi) pubblicato venerdì scorso – del 3,3%, quest’anno come pure l’anno prossimo (solo un po’ sotto la media dei primi due decenni di questo secolo pari al 3,7%). Tra i rischi al ribasso citati dal Fmi c’è il rallentamento della disinflazione (il tasso d’inflazione dovrebbe comunque scendere verso il 4% e poi il 3% a livello mondiale), ciò che potrebbe indurre le banche centrali a moderare la fase di allentamento della politica monetaria.

I rischi sono certamente connessi anche all’elevata incertezza sulle politiche. Più esplicito è stato il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta (in un discorso a Bologna settimana scorsa). Egli non solo ha sostenuto che «nei prossimi anni è previsto un aumento del protezionismo», ma per essere chiari ha aggiunto «alimentato dalle politiche degli Usa». Vedremo in concreto quali saranno le prime mosse di Trump, specie riguardo all’introduzione – più o meno rapida, più o meno pervasiva – di dazi sulle importazioni. Forse alcuni suoi consiglieri gli stanno facendo notare quali conseguenze dazi eccessivi avrebbero sulla stessa economia americana: innanzi tutto perché alimentano l’inflazione, inducendo la banca centrale ad una politica ancora restrittiva (o meno espansiva). Non è un caso che la borsa americana – dopo l’euforia di novembre – abbia nelle ultime settimane fatto passi indietro; inoltre ci si aspetta che i tassi d’interesse restino alti ancora per un po’, non solo per la possibile persistenza dell’inflazione ma anche per la probabilità di disavanzi e debiti pubblici elevati (infatti i tagli di tasse promessi da Trump difficilmente saranno compensati da equivalenti tagli di spesa pubblica).

Tornando alle previsioni del Fmi, un altro aspetto rilevante riguarda l’andamento divergente tra Paesi e regioni del mondo. I Paesi del «Sud Globale» continueranno la loro sostenuta dinamica (quasi il 5% la Cina ed addirittura il 6,5% l’India). Quanto ai Paesi avanzati, gli Usa rallenteranno un poco (dal 2,8% dell’anno scorso al 2,1% del prossimo), continuando però a distanziare l’Eurozona, che peraltro sarà in lieve accelerazione (0,8% l’anno scorso e 1,4% nel 2026, con quest’anno a metà strada).

Una dinamica simile, ma su valori inferiori, è prevista per l’Italia (0,6%, 0,7% e 0,9% nei tre anni in esame): come si vede, tassi di crescita simili a quelli previsti dalla Commissione europea ed altre fonti negli ultimi mesi. Il problema di fondo della lenta crescita italiana è palesemente l’industria. A novembre la produzione industriale è calata su base annua dell’1,5% (dato reso noto dall’Istat settimana scorsa), con una contrazione che prosegue ormai da ben 22 mesi; con riduzioni particolarmente forti nei mezzi di trasporto, macchinari e attrezzature. La manifattura italiana è penalizzata, in particolare, dall’elevato costo comparato dell’energia.

Riguardo alla minaccia trumpiana di dazi, i settori più esposti sarebbero (come ci ricorda Bankitalia nel suo ultimo Bollettino) non solo i prodotti alimentari e l’automotive, ma anche il farmaceutico, l’aerospaziale e la cantieristica navale; nonché molte altre imprese (anche medie e piccole) di svariati settori. È per queste questioni che sarebbe urgente un’efficace risposta della politica economica nazionale.

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