La «vannaccizzazione» spinge la Lega ancora più a destra

Lo fa col consapevole e pieno appoggio di Salvini: la Meloni si è presa tre quarti dei voti, e così restano solo i settori più estremi dell’elettorato
Il vicesegretario della Lega Roberto Vannacci - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il vicesegretario della Lega Roberto Vannacci - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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C’è una parte della Lega (costituita soprattutto da presidenti di regione, amministratori locali, ma anche da qualche esponente nazionale) che vorrebbe scongiurare la «vannaccizzazione» del partito. In effetti, che il generale improvvisamente diventato (per volontà di Salvini) vicesegretario del Carroccio subito dopo esservi entrato, stia conducendo una campagna per indirizzare le scelte delle candidature nelle regioni e la stessa linea politica del partito a sua immagine e somiglianza, è quantomeno un fatto acclarato. Pesano i voti che ha portato alle elezioni europee, senza i quali la sconfitta della Lega sarebbe diventata una disfatta: Vannacci lo sa, così come lo sa bene Salvini.

Ma soprattutto, i due hanno in comune una chiara impostazione: in politica estera, euroscettica e filorussa; in politica interna, volta a spostare il Carroccio verso l’estrema destra, allineandolo sulle posizioni che altrove hanno partiti come l’AfD tedesca. Da gente come Zaia, abituata alla concretezza del governo locale e cresciuta alla scuola del realismo politico (che vuol dire anche un pizzico di moderatismo e di attitudine a catturare l’elettorato di centro e di centrodestra) la svolta estremista è vista malissimo; il presidente lombardo Fontana l’avrebbe etichettata – si dice – con parole molto dure. Il governatore del Veneto ha invece sottolineato che Vannacci non ha fatto la gavetta (in effetti, è stato paracadutato nel partito e inserito subito al vertice).

La Lega di Bossi, ormai, è un ricordo lontano, però in quel partito c’era una barriera contro gli estremismi di destra, ma soprattutto c’era un’attenzione verso il Nord che negli accenti di Salvini (occupato a varare al più presto il ponte sullo stretto di Messina) e in quelli di Vannacci è debole. Sembra quasi che persino nel governo ci siano due leghe: una del ministro dell’Economia e una del vicepremier. Eppure, quelle che sembrano linee contrapposte non hanno mai portato il Carroccio ad avere una leadership contendibile. Come (e molto più che) ai tempi di Bossi, la Lega è un partito personale dove tutto è nelle mani del capo. In questo caso, Vannacci fa e dice le cose che la parte più radicale del Carroccio pensa ma non esprime e che neppure Salvini spinge all’estremo come fa il generale.

Del resto, il leader leghista ha compreso che, con l’arrivo della Meloni a Palazzo Chigi, Fratelli d’Italia sta cercando di diventare un grande partito conservatore diretto erede della prima Forza Italia e del Pdl del 2008-2013. Se la premier, pur non rinnegando le radici missine (ben richiamate nel simbolo del partito) fa ogni tanto un passettino verso il centro, stando attenta ad avere comunque un alleato più moderato (Tajani) che le serve per connotare meglio FdI come un soggetto di centrodestra-destra, è però evidente che si lascia uno spazio (non grande, ma non irrilevante) all’estrema. Dal canto suo, la Lega sa di non poter competere con Forza Italia (e nemmeno con FdI) sul moderatismo, sull’europeismo, sull’atlantismo, sul sostegno all’Ucraina; quindi, il Carroccio dei moderati e degli amministratori locali che la pensano come Zaia è destinato a scontrarsi con una concorrenza elettorale troppo forte e numerosa.

La premier Giorgia Meloni con il ministro Matteo Salvini - Foto Ansa/Maurizio Brambatti © www.giornaledibrescia.it
La premier Giorgia Meloni con il ministro Matteo Salvini - Foto Ansa/Maurizio Brambatti © www.giornaledibrescia.it

Meglio spostarsi a destra, dunque, avrà pensato Salvini già parecchi anni fa, quando cominciò a guadagnare voti arrivando al 34% delle europee del 2019. Purtroppo per lui, quell’eredità del voto di centrodestra è finita per buoni tre quarti alla Meloni, quindi restano solo i settori più estremi dell’elettorato, quelli che si ritrovano nelle frasi più dure di Vannacci, nella simpatia per Putin e per Trump (i quali, del resto, vanno d’amore e d’accordo, come si vede sempre di più). Forse all’interno la Lega non si è ancora del tutto «vannaccizzata», ma all’esterno, nel mercato elettorale, lo è già abbastanza da quando si è «salvinizzata». Il generale sta solo portando a compimento l’opera, spostando il Carroccio nel pieno dell’estrema destra europea, ma lo fa col consapevole e pieno appoggio di Salvini. L’alternativa sarebbe assistere alla nascita di un partitino estremista vannacciano che toglierebbe un altro 2% al già modesto bottino elettorale della Lega, rendendo il Carroccio e il suo leader completamente ininfluenti. Quindi, il realismo suggerisce al vicepremier di «buttarsi a destra».

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