Leadership incerta con l’addio di Kishida

Nonostante il Giappone sia una delle democrazie con la maggiore frequenza di elezioni politiche al mondo (all’incirca ogni tre anni), i cittadini nipponici sono rimasti sorpresi quando, alcuni giorni fa, Fumio Kishida ha annunciato le sue prossime dimissioni, mettendo così fine all’esperienza triennale nel ruolo di Primo Ministro e di fatto aprendo al rinnovo della presidenza del Partito Liberal Democratico (Pld).
La laconica ammissione di Kishida, secondo cui «la politica non può funzionare senza la fiducia pubblica», rappresenta un riferimento preciso agli scandali che hanno sporcato l’immagine del governo, costringendo il premier a farsi da parte: un’indagine dell’Istituto Nikkei ha evidenziato come il gradimento pubblico nei confronti del governo sia sceso sotto il 20% per otto mesi consecutivi fino allo scorso luglio, nonostante nel 2021, quando Kishida venne eletto, poteva contare su un’approvazione superiore al 60%.
Japan Prime Minister Fumio Kishida will not run for party reelection, local media report https://t.co/AIRwWztgIc
— CNBC (@CNBC) August 14, 2024
Sostanzialmente, nel dicembre 2023, le fazioni Seiwa Seisaku Kenyukai – cioè quella guidata in passato da Shinzo Abe – Shisuikai e Kochikai del Pld sono state accusate di non aver dichiarato correttamente le loro entrate e uscite e, in alcuni casi, di aver dirottato fondi politici verso i legislatori sotto forma di tangenti.
Il «fazionalismo», del resto, è una piaga mai sanata a carico del principale partito politico nipponico sin dalla sua fondazione, nel 1955: i capi delle fazioni ricompensano i membri con incarichi governativi e sostegno nel corso delle competizioni elettorali; i membri, a loro volta, supportano i capi delle fazioni raccogliendo fondi, votando a favore dei progetti di legge e sostenendoli affinché diventino presidenti del partito, carica che di solito conduce alla posizione di premier.
Nonostante ciò abbia tradizionalmente rappresentato la «norma», questa volta gli elettori, già alle prese con un sostanziale aumento del costo della vita, non hanno accolto bene le rivelazioni e hanno inflitto al partito di Kishida una pesante sconfitta in tutte e tre le elezioni suppletive parlamentari tenutesi ad aprile.
Kishida lascerà a chiunque gli succederà un’eredità mista di successi e difficoltà. Il record del premier in materia di difesa e politica estera parla da sé; non è una coincidenza che l’ambasciatore statunitense Rahm Emanuel non abbia perso tempo nell’elogiare la «nuova era delle relazioni» tra il suo paese e Tokyo inaugurata negli ultimi tre anni, menzionando come Kishida sia riuscito a fare ciò che è risultato impossibile al suo predecessore Abe, e cioè raddoppiare la spesa per la difesa, allentare le norme sulle esportazioni di armi e ristabilire i legami con la Corea del Sud, il tutto senza scatenare proteste di massa.
— 岸田文雄 (@kishida230) August 15, 2024
In ambito economico, nel corso dell’ultimo triennio Kishida ha tentato di sostituire le politiche neoliberali del Giappone con una strategia più inclusiva, promettendo l’inizio di un «ciclo virtuoso di crescita e distribuzione» della ricchezza. Egli ha sostenuto l’aumento dei salari per stimolare la spesa dei consumatori e rivitalizzare la classe media. Tuttavia, il deprezzamento dello yen – poi ulteriormente indebolito a settembre dalle aspettative di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve – ha vanificato gli effetti di tali politiche.
Allo stato attuale, lo yen è quasi ai minimi storici contro il dollaro, e ciò ha condotto a un drammatico aumento dei prezzi di prima necessità e importazioni vitali come il carburante. Di conseguenza, i salari reali in molti casi hanno perso considerevolmente potere e l’opinione pubblica ha appioppato a Kishida – forse ingenerosamente – il soprannome di «quattrocchi che aumenta le tasse».
A complicare ulteriormente la situazione ci sono il tasso di natalità in calo, la popolazione che invecchia rapidamente e la disuguaglianza di reddito tra i sessi, tutte sfide demografiche di lunghissimo corso. A giugno, Kishida ha approvato una legge volta a contrastare il calo delle nascite, ampliando le indennità per i figli e i congedi parentali.
Questo difficile scenario crea le premesse per una difficile quanto appassionante consultazione sulla leadership del Paese dal clamoroso ritorno sulla scena politica di Shinzo Abe, dodici anni fa, quando il Pld era ancora all’opposizione. Durante gli anni di governo di Abe, la concorrenza reale fu limitata, e quando questi si dimise per motivi di salute, nel 2020, il partito si radunò rapidamente attorno al suo uomo di fiducia, Yoshihide Suga.
Japan’s Prime Minister Kishida steps aside. Here’s who could lead next https://t.co/xTdBoeX6Vr
— TIME (@TIME) August 14, 2024
Kishida fu una scelta logica l’anno successivo, quando Suga decise di non cercare un nuovo mandato. Questa volta, però, ogni previsione è incerta, almeno per ora. La possibilità della candidatura di un outsider, come per esempio Taro Kono o Shigeru Ishiba, entrambi con incarichi ministeriali di alto livello, non è mai stata così alta. Persino Shinjiro Koizumi, figlio del famoso «ribelle» Jun’ichiro, potrebbe finalmente decidere che è giunto il momento di candidarsi. Il supporto dei leader senior del partito, tra cui gli ex primi ministri Taro Aso, Suga e l’attuale premier, sarà cruciale.
Tuttavia, con la maggior parte delle fazioni più forti del Pld infiacchite dallo scandalo del dicembre 2023, è difficile prevedere come potrebbero votare i legislatori. Certo è che di fronte a una opposizione debole e alla frammentazione del voto tra le varie compagini di opposizione, il Pld non dovrebbe avere troppi problemi a confermarsi come forza politica vincente. Governare, tuttavia, è un altro paio di maniche.
Antonio Fiori – Docente di Storia e Istituzioni dell'Asia, Università di Bologna
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
