La sinistra italiana e il modello francese

La vicenda francese sta esercitando una forte influenza sulla sinistra italiana. L’idea di un’alleanza difensiva anti Le Pen - il Nouveau Front Populaire con Socialisti, Comunisti, La France Insoumise e Verdi - benché sia corrosa dall’interno da insanabili contraddizioni politiche oltre che culturali, sembra a non pochi esponenti italiani dell’opposizione progressista una possibile via per tornare a contendere al centrodestra la vittoria elettorale al prossimo turno. Del resto le contraddizioni dei francesi sono ben più accentuate di quelle che si registrano oggi tra il Pd in versione Schlein, i Cinque Stelle e Avs.
Inoltre la sinistra italiana viene da esperienze che in qualche modo la spingono su questa strada. L’ipotesi del «campo largo» non è mai veramente decollata per via della lotta per la leadership che si è disputata tra Elly Schlein e Giuseppe Conte: tuttavia questa gara oggi sembra abbastanza datata a causa del rafforzamento dei democratici alle europee e all’indebolimento del partito contiano il cui radicamento sul territorio appare ormai scarso. Al contrario dei democratici il cui successo alle elezioni di giugno è stato propiziato proprio dai sindaci che hanno raccolto un lusinghiero risultato popolare.
E così il fatto che la primazia del Pd nell’opposizione non è più contestata con convinzione, obiettivamente facilita la costruzione delle alleanze: è proprio quello che è successo a giugno nelle città col voto europeo. La strada sembra percorribile: se dalla Francia aspettiamo i risultati finali, anche in Italia potrebbe essere possibile costruire un «Fronte» centrodestra-destra che, dal 2022 ad oggi, mostra di avere il vento in poppa soprattutto tra i ceti popolari e marginali.
Ora, anche a non voler riportare alla memoria gli infelici precedenti storici italiani a proposito di «Fronte Popolare» (l’alleanza di Togliatti e Nenni che nel 1948 non fu sufficiente a fermare lo straripante successo della Dc di De Gasperi) vale però la pena ricordare che con quello stesso schema molti anni dopo, nel 1994, una nuova sconfitta sbriciolò i «Progressisti» di Achille Occhetto (benché avessero alle spalle il successo delle amministrative del 1993) da parte della dalla coalizione di centro-centrodestra messa in piedi in pochissimo tempo da Silvio Berlusconi con Gianfranco Fini, Umberto Bossi, Pierferdinando Casini e Clemente Mastella.

La ragione vera della ripetuta sconfitta frontista fu chiara due anni dopo: nel 1996, quando si costruì un’alleanza della sinistra con il centro popolare che anzi offrì all’intera coalizione il suo leader, Romano Prodi, espressione di una tradizione cattolico-democratica, ben radicata nell’establishment accademico e produttivo italiano ed internazionale. Il centrosinistra di Prodi, e non la sola sinistra, sconfisse Berlusconi.
Si capisce bene dunque oggi l’avvertimento di Pier Ferdinando Casini: «Senza l’inclusione di un’area moderata convincente, il centrosinistra non vince». Come dire: il concetto di sconfitta è proprio consustanziale a quello di «frontismo».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
