La diga della discordia tra Etiopia, Sudan ed Egitto

Risiko energetico ad alta tensione tra Addis Abeba, Il Cairo e Khartoum
La «Grande Diga del Rinascimento Etiope» - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La «Grande Diga del Rinascimento Etiope» - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Energia elettrica per l’Etiopia, meno disponibilità d’acqua per l’Egitto e per il Sudan. È ciò che temono i due Paesi a valle del Nilo, già minacciati dalla crisi climatica, e la cui economia si basa molto sull’agricoltura. L’oggetto del contendere è il funzionamento della «Grande Diga del Rinascimento Etiope» (Gerd).

Costruita lungo il Nilo Azzurro, sul confine tra Etiopia e Sudan, misura circa due chilometri ed è alta oltre 150 metri. Per Addis Abeba è fondamentale per lo sviluppo del tessuto produttivo nazionale. L’infrastruttura faraonica, realizzata dall’italiana Salini e costata quasi 5 miliardi di dollari, a pieno regime avrà una capacità di stoccaggio di oltre 70 miliardi di metri cubi d’acqua. «La diga sta già funzionando - spiega Attilio Ascani, coordinatore progetti di Cvm, Comunità Volontari per il Mondo, Ong che da anni opera in Etiopia -. Sono al quarto riempimento e il governo etiope ha annunciato che è raddoppiata la disponibilità di energia elettrica. E il Paese ne ha davvero bisogno, perché le interruzioni sono quotidiane.

In verità, l’Egitto - che dipende dal Nilo per quasi tutto il suo fabbisogno di acqua dolce - non è contrario alla diga tout court, ritiene che vadano firmati degli accordi fra i tre Paesi interessati in merito al suo funzionamento. Sostiene, inoltre, che due trattati di epoca coloniale gli garantiscono il diritto di veto a monte su progetti relativi alle acque del Nilo. Sul tema, si è rivolto anche al Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Pur avendo tentato dei negoziati, finora né le Nazioni Unite, né l’Unione Africana, né la Banca Mondiale sono riusciti a mettere d’accordo i contendenti. Pertanto, la Gerd oggi opera - sia pure a potenza ridotta - in assenza di una specifica cornice giuridica. L’Etiopia si è detta disponibile a dialogare, ma di vincolarsi con un accordo scritto non ha alcuna intenzione, sapendo che l’area è soggetta a periodi di siccità. E quindi firmare un accordo dove si impegna, in caso di necessità, a svuotare l’invaso per garantire la regolarità del flusso, non piace per niente ad Addis Abeba, perché significherebbe tornare ad avere problemi di erogazione di energia. Energia di cui l’Etiopia vuole anche diventare il principale fornitore nell’area.

Schierato con l’Egitto, il Sudan ha sì necessità d’acqua per l’agricoltura sulla quale ha puntato maggiormente dopo la secessione del Sud nel 2011 che lo ha privato di parte dei proventi petroliferi, ma ha anche bisogno di una regolamentazione del Nilo, soggetto ad alterazioni stagionali, per prevenire le devastanti esondazioni. In apparenza, la contesa è solo verbale. «Ma io temo davvero l’escalation - riprende Ascani -. I toni si alzano giornalmente, e intanto si stringono alleanze, quindi si coinvolgono altri Paesi, e si schierano eserciti. Il rischio è la destabilizzazione di tutto il Corno d’Africa».

L’Etiopia, infatti, il primo gennaio 2024, ha firmato un accordo col Somaliland per avere uno sbocco sul Mar Rosso; la contropartita non potrà che essere il riconoscimento dell’autonomia di questa regione che si trova nel nord della Somalia, e che confina con l’Etiopia. Il presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamud, che mai ha riconosciuto l’autoproclamata indipendenza del Somaliland, ha affermato di considerare l’accordo come una violazione della propria sovranità, e di temere che Addis Abeba voglia annettersi quella parte di territorio.

Contrari alle ambizioni secessioniste del Somaliland sono anche Turchia ed Egitto, che così si confermano al fianco di Mogadiscio. Il presidente egiziano ha firmato con il collega somalo un protocollo bilaterale di cooperazione in materia di difesa, e ha annunciato che parteciperà alla nuova missione dell’Unione Africana in Somalia contro il terrorismo (Aussom). L’Egitto agisce anche direttamente in Etiopia, soffiando sul fuoco delle rivalità etniche.

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