In Tunisia a rischio lo stato di diritto

Domenica si vota per le Presidenziali: tre sono i candidati in lizza, ma l’esito è scontato
Manifestanti tunisini - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Manifestanti tunisini - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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In Tunisia al supermercato si spende quanto in Italia. Ma il potere d’acquisto del dinaro è basso e gli stipendi medi mensili si aggirano sull'equivalente di 300 euro. L'inflazione intorno al 10% è l’effetto della profonda crisi economica che sta attraversando il Paese, nonostante i deboli segni di ripresa legati al turismo.

Nel 2019, quando Kaïs Saïed, 66 anni, docente di diritto costituzionale, fu eletto presidente (72,21% dei voti), tra le promesse c'era proprio quella di far ripartire l’economia, oltre allo sradicamento della corruzione, ma i desiderata non sempre vanno a buon fine. Così oggi, si appresta alle nuove presidenziali di domenica 6 ottobre con un importante debito pubblico, con la difficile gestione dei flussi migratori illegali che transitano nel Paese, e il boicottaggio della tornata elettorale da parte del Fronte di salvezza nazionale, che raggruppa le principali forze di opposizione (tra cui il partito islamico-democratico Ennahda e Qalb Tunes, cuore della Tunisia).

Ma tutto questo non lo turba più di tanto. La sua rielezione è pressoché assicurata, visto che nel 2022, grazie a un referendum con affluenza al 28%, ha rivisto la Costituzione in funzione iper-presidenzialista, paralizzando di fatto il parlamento e, forte di un potere quasi assoluto, ha via via sbaragliato gli altri possibili candidati, anche con mezzi, per così dire, poco ortodossi. Pertanto, tutti i potenziali competitor o hanno scelto il boicottaggio, denunciando l'assenza di trasparenza, o sono in carcere, oppure sono stati dichiarati ineleggibili dall’Alta Autorità indipendente per le elezioni (Isie), che però tanto indipendente non è, visto che i suoi membri sono nominati e deposti direttamente dal Capo dello Stato.

Nonostante sia sottoposto a carcerazione preventiva per aver falsificato alcune firme in sostegno alla sua candidatura, Ayachi Zammel, esponente del partito liberale Azimoun, ha annunciato che non si ritirerà dalla corsa. Con Zouhair Maghzaoui, 59 anni, ex parlamentare della sinistra panarabista, gli ammessi dall'Isie alla partita sono tre, ma l'esito per Saïed è scontato, favorito anche da restrizioni della libertà di stampa, condanne di giornalisti dissenzienti e attacchi alla magistratura. Organizzazioni internazionali come Amnesty International denunciano il rischio della tenuta dello Stato di diritto. Il presidente uscente naturalmente nega, sostenendo che sta soltanto combattendo non meglio precisati «traditori della patria e corrotti». Fonti a lui vicine aggiungono che «sta pulendo per poi poter ricostruire». Versione a cui in pochi credono.

«I passi di Saïed dimostrano che non è più popolare e che teme di perdere le elezioni», ha detto all'agenzia di stampa Reuters, Nabil Hajji, leader del partito di opposizione Attayar. Ma i tunisini stanno allerta. E, dopo che i tre potenziali candidati con più chance – Mondher Znaidi (in esilio a Parigi dal 2011, in quanto ex ministro dell'allora presidente Ben Ali), Abdellatif Mekki (ex ministro della Salute di Ennahda) e Imed Daïmi (co-fondatore del partito conservatore el-Harak) – sono stati squalificati a seguito dell'approvazione di un disegno di leggo ad hoc che esautora il tribunale amministrativo della sua autorità di giudicare le controversie elettorali, sono scesi in strada.

Per due settimane, a settembre, hanno marciato lungo il viale principale di Tunisi, punto focale della «Primavera araba» del 2011, cantando slogan, tra cui «il popolo vuole la caduta del regime». Parliamo di un popolo che, dopo la cacciata di Ben Ali, con la prima Costituzione del 2014, peraltro forgiata su ispirazione di quella italiana, ha goduto di diritti politici e libertà civili, cullando la speranza di una Tunisia democratica.

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