Il voto di fiducia a von der Leyen è specchio di un’Europa divisa

I nuovi equilibri politici di potenza stanno cambiando l’Europa: le destre sono in fase espansiva
Ursula von der Leyer a Strasburgo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Ursula von der Leyer a Strasburgo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Dopo settimane di tensioni, la nuova Commissione europea ha ricevuto il via libera dal Parlamento di Strasburgo e sarà operativa dal primo dicembre.

Il primo dato è indubbiamente quello numerico: il voto di fiducia al futuro esecutivo europeo, il von der Leyen 2, ha ottenuto il consenso più basso dal 1995: 370 voti favorevoli che corrisponde ad uno striminzito 54%. La presidente von der Leyen sarà per questo più debole? No, perché in fase di definizione dei nuovi componenti del collegio, ne aveva diluito e spacchettato le deleghe, in modo da avere nelle proprie mani sempre l’ultima parola. O addirittura ci saranno ambiti strategici di cui si occuperà personalmente, a partire dal rapporto con l’industria automobilistica europea con cui dovrà definire il percorso per il Green Deal.

Se il suo potere è quasi imperiale, d’altro canto rischia di essere più accidentato il percorso delle future direttive e con esse la politica europea at large.

Il voto di ieri nell’emiciclo di Strasburgo racconta di una frammentazione crescente nel panorama politico europeo, che nelle settimane scorse si è tradotta nei veti incrociati per due commissari, in particolare l’italiano Fitto e la spagnola Ribera (niente di personale, ma per le forze politiche di cui sono esponenti). Le votazioni di ieri hanno sancito il tramonto della maggioranza Ursula, quell’aggregazione nata nel 2019 e che aveva eletto von der Leyen e aveva le sue fondamenta politiche saldamente affondate nelle forze europeiste (popolari, liberali e socialisti) con l’appoggio esterno dei Verdi e di forze «responsabili» (allora partiti di governo come i polacchi di PiS e il Movimento 5 Stelle).

A cinque anni di distanza von der Leyen ha ottenuto la maggioranza numerica a caro prezzo: le forze europeiste si sono spaccate al loro interno, combattute dall’idea di un avvicinamento del Ppe con i sovranisti e spaventate proprio dall’avanzata delle varie sfumature di destra (che a Strasburgo sono presenti con tre gruppi).

Così se è vero che spesso le maggioranze in Europa sono a geometria variabile sulle singole politiche, questa volta il Ppe ha alzato l’asticella utilizzando lo stesso metodo con il voto politico per eccellenza, quello per il via libera alla Commissione. Se quest’estate al primo voto per la conferma di von der Leyen, la maggioranza era Popolari-Socialisti-Verdi-Liberali, questi mesi hanno riportato alla ribalta il vecchio pallino di Manfred Weber, il potentissimo capogruppo bavarese del Ppe in Europa che già l’anno scorso aveva corteggiato Giorgia Meloni per l’ingresso di Fratelli d’Italia tra i Popolari. Ora si è passati dal corteggiamento al tentativo di rendere il rapporto più stabile e consolidato e non è un caso che il gruppo dell’Ecr abbia votato a favore di tutti i 25 commissari, con l’eccezione della belga Hadja Lahbib.

Verdi, Socialisti e Liberali possono storcere il naso, lanciare ultimatum e provare a giocare da gambler come spesso ha fatto lo spagnolo Sanchez, ma c’è un dato ineludibile: le destre europee sono in fase espansiva. I Patrioti per l’Europa guidati da Orban di cui fanno parte Salvini, Wilders e Le Pen sono il terzo gruppo del Parlamento europeo; mentre il quarto è l’Ecr di FdI e PiS. E da questa legislatura c’è spazio anche per un terzo gruppo a Strasburgo, Europa delle Nazioni Sovrane, che ruota attorno ai neonazisti di AfD. In sostanza, quasi duecento eurodeputati rappresentano forze politiche che a vario titolo possono essere catalogate nello spettro delle destre fino all’estremo.

In Europa il vento tira da quella parte e il Ppe, o parti di esso, guardano da tempo con attenzione a questo fenomeno. Basta pensare al caso dei Républicains francesi che lo scorso giugno si sono spaccati sulla possibile alleanza con i lepenisti (considerata contro natura fino a quel momento), o a chi nella Cdu tedesca fino a poco tempo fa ha pensato all’indicibile: l’alleanza con AfD.

Per queste ragioni il nuovo quinquennio europeo si apre con molte incognite con le forze europeiste riformiste in crisi, perché vedono i consensi assottigliarsi nelle singole dimensioni nazionali; ma soprattutto con il Ppe che gioca una partita pericolosa con la sponda sovranista. Su molti temi a partire dalla transizione digitale ed ecologica, ma anche sui rapporti internazionali, in particolare con l’alleato americano alla luce del ritorno di Trump, l’abbraccio con i sovranisti rischia di segnare l’operato della Commissione von der Leyen 2 che di volta in volta dovrà cercare voti in Parlamento per ottenere il via libera delle direttive, che rischiano di essere snaturate.

Fino alla scorsa legislatura l’Europarlamento era l’avamposto dei diritti, ora rischia di perdere il proprio ruolo di avanguardia penalizzando la stessa von der Leyen e il suo programma politico.

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