Il secondo turno ferma i lepenisti

Il secondo turno delle elezioni francesi ha frenato la corsa del partito di Marine Le Pen e fermato l’ascesa di Jordan Bardella a Matignon.
Dopo il clamore per il risultato del 30% ottenuto sette giorni fa dal Rassemblement National, che di fatto aveva replicato quello delle elezioni europee di inizio giugno, l’Europa ha iniziato a temere per uno scenario inedito: un governo di estrema destra in uno dei Paesi fondatori dell’Unione, con un monocolore di una forza politica apertamente filorussa.
La vittoria è andata alla sinistra del Nuovo Fronte Popolare e più in generale a tutte le forze che potremmo definire convintamente democratiche. Due aspetti sono stati decisivi per la sconfitta di Marine Le Pen e del suo delfino. Il primo è chiaramente legato alla mobilitazione da parte delle cosiddette forze repubblicane: il patto di desistenza per fermare l’avanzata della destra sovranista euroscettica. In molti ballottaggi triangolari è rimasto in lizza un solo avversario dei lepenisti con il terzo classificato del primo turno che si è ritirato dalla contesa per far convergere tutti i voti su chi aveva maggiori possibilità di affermazione.
In sostanza il «cordone sanitario» attorno al Rassemblement National non è caduto nemmeno in questa occasione, nonostante una parte dei neogaullisti abbia provato ad arrivare ad un’intesa elettorale con Le Pen. Il secondo aspetto è da ricercare nell’astuta ingegneria costituzionale della V Repubblica francese che prevede un sistema maggioritario, ma a doppio turno.
Un modello elettorale che tendenzialmente penalizza le forze estremiste che per loro stessa natura non possono raccogliere in uno Stato democratico la maggioranza assoluta dei consensi, a meno che gli elettori e cittadini non abbiano deciso di abbandonare il modello democratico per intraprendere un percorso di democratura o democrazia illiberale (come nell’Ungheria di Orban). Ma De Gaulle e chi con lui ha pensato la svolta del 1958 aveva ben presente, da un lato il rischio di derive estremiste e dall’altro la necessità della governabilità.
L’azzardo di Macron di sciogliere l’Assemblea Nazionale è convocare le elezioni anticipate è stato dunque vinto a metà. Si è sicuramente sottovalutata la conoscenza da parte del presidente e dei suoi consiglieri del sistema elettorale francese: il secondo turno è sempre stata la barriera insuperabile per i sogni di gloria lepenisti, sia alle presidenziali ed ora alle Legislative.
Ma l’altra faccia della tornata elettorale è quella che consegna alla Francia un’Assemblea nazionale tetrapolare e senza una maggioranza, come due anni fa ma con una destra che ha raddoppiato i propri seggi. A livello parlamentare il Paese sta tornando ad uno scenario da Quarta Repubblica, mitigato dai correttivi appunto introdotti nel ’58, ma che testimonia di un Paese attraversato da forti divisioni politico-sociali.
Nel processo di polarizzazione che sta attraversando la politica europea e quella francese, il macronismo non è riuscito a dare risposte rassicuranti agli elettori, anzi è stato parte del problema. Così il presidente oggi è avversato da destra e da sinistra e la sua forza politica nata sull’onda dall’esperienza presidenziale appare politicamente fragile, quasi effimera.
Ora la sinistra rivendica la possibilità di esprimere un proprio primo ministro in nome della maggioranza conquistata ieri, mentre Macron valuta le prossime mosse una volta che si sarà insediata l’Assemblea nazionale. La doppia tornata elettorale ha sancito la fine del macronismo così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, ma Macron ha prima allontanato Bardella dalla guida del governo e ora ha reso più difficile la scalata di Marine Le Pen all’Eliseo nel 2027.
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